1.- Con ordinanza del 6 maggio 2021, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), per violazione degli artt. 1,3,4,24 e 35 della Costituzione.
Le censure si incentrano sulla disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che richiede il carattere manifesto dell'insussistenza del fatto ai fini della reintegrazione.
1.1.- Il rimettente espone di dover decidere sull'opposizione del datore di lavoro contro l'ordinanza che ha reintegrato un lavoratore, licenziato «tre volte nel giro di alcuni mesi, una delle quali per giustificato motivo oggettivo, le altre due per giusta causa».
L'opposizione, instaurata ai sensi dell'art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012, concerne il solo licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo.
A sostegno della rilevanza delle questioni, il giudice a quo argomenta che il dipendente è stato assunto nel 2001 da un'impresa che occupa «circa 50 dipendenti in media» e che le parti non contestano l'applicabilità della disposizione censurata, contraddistinta da un tenore testuale inequivocabile. Oggetto di contestazione, per contro, è il carattere manifesto dell'insussistenza del fatto.
1.2.- Il giudice a quo ravvisa il contrasto con molteplici parametri costituzionali.
1.2.1.- Vi sarebbe, in primo luogo, «una ingiustificata, irrazionale ed illegittima differenziazione» tra il licenziamento per...
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 97 del 2021), il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della "manifesta" insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Le censure, formulate in riferimento agli artt. 1,3,4,24 e 35 della Costituzione, si incentrano sul criterio della manifesta insussistenza del fatto, declinata come «evidenza piena» e «peculiare difformità» rispetto al paradigma legale.
1.1.- Il rimettente prospetta, in primo luogo, il contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., in ragione dell'arbitraria disparità di trattamento tra il regime applicabile al licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, da un lato, e la disciplina del licenziamento determinato da un giustificato motivo oggettivo, dall'altro lato.
Se, nella prima fattispecie, la reintegrazione è subordinata al ricorrere dell'insussistenza del fatto, nel licenziamento che trae origine da ragioni economiche è richiesta - senza alcun «fondamento logico-giuridico» - una insussistenza manifesta, che spetta al lavoratore dimostrare, con inversione dell'onere della prova.
1.2.- Il contrasto con il principio di eguaglianza si apprezzerebbe anche sotto un distinto profilo, che attiene alla diversa...
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