1. Con sentenza 28 giugno 2017, la Corte d'appello di Roma rigettava l'appello di T.S. avverso la sentenza di primo grado, di inammissibilità della sua domanda di condanna di Anas s.p.a. al pagamento delle differenze retributive relative all'indennità di funzione, tredicesima mensilità, indennità di buoni pasto, di reperibilità e per rinnovo contrattuale del luglio 2007, riguardanti periodo successivo al marzo 2003 (dies ad quem della sentenza di appello n. 8506/2010, impugnata per cassazione, di riconoscimento fino a tale data e con decorrenza dal 7 marzo 1996, di analoghi emolumenti retributivi per effetto dell'attribuzione dell'indennità di funzione per lo svolgimento di mansioni dirigenziali) e fino al collocamento in quiescenza del 31 agosto 2007, sul presupposto dell'intervenuta conciliazione tra le parti del 12 luglio 2007.
2. Premessa la formazione di giudicato, per rigetto del ricorso per cassazione principale del lavoratore e inammissibilità dell'incidentale di Anas, sulla sentenza di appello n. 8506/2010, la Corte territoriale riteneva, in esito a critico e argomentato esame delle clausole del verbale, l'inclusione delle pretese economiche oggetto di controversia nell'accordo raggiunto tra le parti in ordine alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro alla data del 1 settembre 2007, con incentivo all'esodo, rinuncia al preavviso e alla relativa indennità sostitutiva e, per quanto d'interesse ai fini del presente giudizio, la corresponsione (al punto 5) al lavoratore della somma di Euro 20.000,00 netti "a titolo di transazione generale e novativa", a fronte delle rinunce espressamente manifestate (al punto 4) "a qualsivoglia ulteriore domanda o azione comunque connessi... all'esecuzione e cessazione del rapporto, nonché ad ogni diritto derivante dalla legge o dalla contrattazione collettiva... ". In particolare, essa escludeva che le pretese in questione rientrassero...
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1369,1366,1365,1367 c.c., nonché di norme e principi in tema di qualificazione del contratto, per la non corretta lettura del verbale di conciliazione 12 luglio 2007, in riferimento ai canoni ermeneutici di letteralità, secondo la comune intenzione delle parti in combinata e coordinata lettura globale con quelli concorrenti di interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre, esemplificativo, di buona fede e funzionale nella prospettiva conservativa del senso negoziale loro attribuito: e segnatamente, della clausola di salvezza al punto 7) del verbale, qualificato dalle parti di transazione generale e novativa, di esplicita esclusione, non già della sola causa R.G. 2710/2005 pendente tra le stesse, ma anche della "conseguente ricostruzione della carriera ed attribuzione" di differenze retributive, costituente proprio l'oggetto della odierna controversia.
Con lo stesso mezzo, egli deduce inoltre la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., per motivazione apparente e contraddittoria, per la mancanza di spiegazione logica e coerente della locuzione suindicata della clausola di salvezza, in relazione alla "conseguente" ricostruzione della carriera e attribuzione di differenze retributive, idonea a indicare un periodo distinto da e successivo a quello dedotto nella causa allora pendente in appello ed oggetto di quella odierna appunto.
2. Esso è fondato, in particolare sotto l'assorbente profilo dell'error in iudicando denunciato in riferimento alla violazione dei canoni ermeneutici.
3. Giova, innanzi tutto, premettere la corretta deduzione dei vizi interpretativi, sindacabili in sede di legittimità non già nel loro risultato in sé, che appartiene piuttosto all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito,...
Caricamento in corso...
Caricamento in corso...