1. Con ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28 e art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, l'Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (lesbian-gay-bisexual-transgender-intersexual)-Rete Lenford (di seguito: Associazione o Rete Lenford) ha convenuto l'Avv. T.C., al fine di ottenere l'accertamento del carattere discriminatorio delle dichiarazioni da lui rese nel corso di un'intervista radiofonica, consistite nell'avere egli affermato di non volere assumere e di non volersi avvalere della collaborazione, nel proprio studio, di persone omosessuali.
Con ordinanza del 6/8/2014, il Tribunale ha accolto il ricorso, dichiarando illecito, alla luce del suo carattere discriminatorio, il comportamento tenuto dall'odierno ricorrente, condannandolo per l'effetto al risarcimento del danno nella misura di Euro 10.000,00 ed ordinando la pubblicazione in estratto del provvedimento su di un quotidiano nazionale e condannando il convenuto altresì al pagamento delle spese di lite.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto appello, ai sensi dell'art. 702 quater c.p.c., l'avv. T.C., sollevando plurime censure di rito e di merito; in particolare l'appellante ha censurato il mancato rilievo officioso del difetto di legittimazione, sia processuale sia sostanziale, dell'Associazione, non potendo la stessa considerarsi ente esponenziale di diritti e/o interessi diffusi; ha eccepito l'incompetenza funzionale del giudice adito, con conseguente nullità del procedimento e dell'ordinanza impugnata ai sensi dell'art. 158 c.p.c.; ha contestato altresì la decisione di primo grado per aver rigettato l'eccezione di nullità del ricorso per mancanza dell'avvertimento ex art. 163 c.p.c., comma 2, n. 7; nel merito, ha dedotto l'inesistenza di un comportamento discriminatorio "diretto", la non corretta interpretazione ed applicazione dell'art. 3 medesimo D.Lgs. ed il difetto...
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c., non avendo la Corte territoriale provveduto alla lettura del dispositivo in udienza, con la conseguente nullità della sentenza ex art. 156 c.p.c., comma 2, trattandosi di rito del lavoro.
1.1. Il ricorrente, premesso che il giudizio era stato introdotto con il rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28 innanzi al Giudice del lavoro e che l'appello era stato introdotto con ricorso secondo il rito lavoristico e nel rispetto dei termini di cui all'art. 702 quater c.p.c., ritiene che il giudizio d'appello avrebbe dovuto svolgersi secondo il rito "ordinario" del lavoro; di conseguenza, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell'art. 437 c.p.c., non procedendo alla lettura del dispositivo in udienza, con conseguente nullità della sentenza.
1.2. Il motivo è infondato.
La controversia in questione non è soggetta al rito del lavoro e comunque non è stata trattata secondo quel rito.
Il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 28 (recante "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54", cosiddetto "decreto riti") ha stabilito che le controversie in materia di discriminazione previste dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 44, dal D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, art. 4 dal D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, art. 4 (attuazione della direttiva 2000/78/C1 per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che è il caso di specie), dalla L. 1 marzo 2006, n. 67, art. 3 e dal D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, art. 55-quinquies sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dallo stesso articolo.
Come lo stesso ricorrente espressamente...
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