1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di P.M. per il reato di diffamazione a mezzo stampa, aggravato dall'attribuzione di un fatto determinato, per avere offeso la reputazione della parte civile costituita A.V. in un articolo a sua firma pubblicato sulle pagine milanesi del quotidiano "(OMISSIS)" in data (OMISSIS). In particolare, il giornalista, nel riportare il fatto della morte di Pa.Fr. per complicanze seguite a un intervento di bypass coronarico eseguito presso il (OMISSIS), avrebbe fatto apparire l' A. come chirurgo di scarsa professionalità, qualificando tale operazione come "banale" e descrivendo fatti in parte non accertati, quali l'originaria intenzione del paziente di affidarsi alle tecniche innovative impiegate da altro medico. Sarebbero state inoltre inserite nel pezzo di cui si tratta le false informazioni concernenti l'esecuzione dell'intervento ad opera della stessa persona offesa, la quale aveva soltanto svolto la propria attività in qualità di secondo operatore, nonchè la decisione della stessa di non eseguire un nuovo esame coronografico.
2. Avverso il provvedimento suindicato ricorre l'imputato articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo si deduce l'erronea applicazione dell'art. 595 c.p., in relazione all'assenza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice sotto il profilo oggettivo. Premessa delle argomentazioni difensive è l'avvenuta narrazione ad opera del P. di circostanze pacificamente accertate e solo erroneamente sindacate e cioè consistenti, oltre che nella causa del decesso, nella precedente sottoposizione del Pa. a visita presso un altro ospedale - dove era stato diagnosticato allo stesso un ispessimento delle coronarie - nonchè nella personale esecuzione dell'operazione ad opera dell' A., seppure come secondo chirurgo. Nella restante parte dell'articolo, il giornalista si sarebbe...
1. Occorre preliminarmente rilevare come, superando il ricorso il vaglio di ammissibilità, il reato ascritto all'imputato risulti estinto per intervenuta prescrizione. Invero, considerando quale termine massimo quello di sette anni e mezzo, decorrente dal (OMISSIS), data di consumazione del reato, e non risultando alcun periodo di sospensione del relativo corso, la prescrizione deve ritenersi maturata al più tardi il (OMISSIS) e, dunque, prima della pronunzia della sentenza impugnata. Nondimeno, essendosi costituita parte civile la persona offesa A.V., in favore della quale è stata pronunciata nel merito la condanna del P. al risarcimento del danno, occorre procedere, a norma dell'art. 578 c.p.p., all'esame dei motivi non nell'esclusiva ottica della regola di giudizio di cui all'art. 129 c.p.p.
2. Tanto premesso, il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2.1. Deve anzitutto rilevarsi il difetto di oggettiva valenza diffamatoria delle espressioni contenute nella prima parte dell'articolo - ossia quella in cui non sono riportate le dichiarazioni altrui - nondimeno considerate dai giudici del merito quali offensive della reputazione della persona offesa. Si tratta, in particolare, della qualificazione dell'intervento come "banale" e dell'affermazione secondo cui il paziente avrebbe inizialmente voluto affidarsi alle tecniche innovative di altro medico (il Dott. S.). Il carattere routinario, ordinario, dell'operazione, ed il fatto che il Pa. avesse deciso in un primo momento di sottoporsi alle cure di un diverso sanitario non appaiono oggettivamente idonee a compromettere l'onore dell' A., nella sua esplicazione esterna della considerazione di cui questi gode nell'ambiente sociale.
Nè ad una diversa conclusione può giungersi qualora si abbia riguardo - come è necessario ai fini della valutazione della natura diffamatoria di un articolo di stampa - al suo...
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