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Estremi:
Cassazione civile, 2020,
  • Fatto

    RILEVATO

    CHE:

    1. Con la sentenza n. 12256/2014 il Tribunale di Napoli dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 6.12.2013 da Poste Italiane spa a E.G. per avere questi riportato sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., per fatti non compiuti in connessione del rapporto di lavoro e, dichiarato risolto alla data del licenziamento il rapporto medesimo, condannava la società a pagare al lavoratore, L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 6 (nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1), una indennità pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto goduta.

    2. Con la pronuncia pubblicata il 27.5.2015 la Corte di appello di Napoli escludeva ogni tutela reintegratoria e, ritenuto di dovere applicare la tutela indennitaria cd. forte di cui al citato art. 18, comma 5 aumentava a dodici mensilità l'indennizzo in favore di E.G..

    3. La decisione di secondo grado veniva cassata dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 24259 del 2016, la quale enunciava i seguenti principi di diritto: a) "Solo una condotta posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso può integrare stricto iure una responsabilità disciplinare del dipendente, diversamente non configurandosi neppure un obbligo alcuno di diligenza e/o di fedeltà ex art. 2104 e 2105 c.c. e, quindi, una ipotetica violazione sanzionabile ai sensi dell'art. 2106 c.c."; b) "Condotte costituenti reato possono - anche a prescindere da apposita previsione contrattuale in tal senso - integrare giusta causa di licenziamento sebbene realizzate prima dell'instaurarsi del rapporto di lavoro, purchè siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino - attraverso una verifica giurisdizionale da effettuarsi sia in astratto sia in concreto - incompatibili con il permanere di quel vincolo fiduciario che lo caratterizza".

    4. In base a tali...

  • Diritto

    CONSIDERATO

    CHE:

    1. I motivi possono essere così sintetizzati.

    2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 1 ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere errato la Corte di merito nel ritenere che la condotta oggetto della sentenza penale di condanna non fosse idonea ad integrare una ipotesi di giusta causa di recesso: si sostiene che la gravità dei reati di cui alla imputazione (associazione per delinquere, crimine organizzato transnazionale, evasione fiscale) ed il ruolo attivo svolto dall' E. nell'organizzazione, oltre a rivestire il carattere di gravità (riconosciuto dalla stessa Corte territoriale) erano certamente idonei a ledere il rapporto fiduciario necessariamente sotteso al rapporto di lavoro, sebbene estranei ad esso, e ciò anche in considerazione della natura e qualità del rapporto stesso, della particolare attività svolta dalla società e del grado di affidamento cui il lavoratore era addetto.

    3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come riscritti dalla L. n. 92 del 2012, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere ritenuto la Corte di appello, in modo non corretto, applicabile al caso di specie la tutela reintegratoria di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4; si deduce che la Corte territoriale erroneamente, ai fini della indagine sulla sussistenza del fatto contestato, aveva fatto riferimento ad un concetto di fatto in senso giuridico, quando invece avrebbe dovuto considerare il "fatto materiale" sebbene caratterizzato da elementi di illiceità e antigiuridicità, con la conseguenza che - nel caso in esame - essendo il fatto sussistente e connotato dai suindicati requisiti della antigiuridicità e della illiceità, non poteva applicarsi la tutela reintegratoria.

    4. Con il terzo...

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