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Estremi:
Cassazione civile, 2020,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    1. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in sede di opposizione nell'ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, confermò l'illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo a G.N. dalla Pfizer Italia Srl, condannando la società ai pagamento di una indennità risarcitoria a mente dell'art. 18, comma 5, dell'art. 18 novellato dalla Legge citata.

    Secondo il Tribunale la lavoratrice, in seguito alla reintegrazione giudizialmente disposta per l'illegittimità di un precedente licenziamento, era stata assegnata a mansioni inferiori di Receptionist rispetto a quelle di Assistente Segretaria di Direzione, nell'ambito "di un reparto di fatto già inattivo da tempo", per cui la soppressione del posto indebitamente attribuito non poteva essere addotta quale giustificato motivo oggettivo di licenziamento, perchè la lavoratrice non avrebbe mai dovuto rivestire quella posizione.

    2. Interposto reclamo dalla sola G., limitatamente alla tutela meramente indennitaria riconosciuta dal primo giudice, la Corte di Appello di Ancona, con sentenza pubblicata il 28 maggio 2018, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato "la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento" e, per l'effetto, ha condannato la società alla reintegrazione della lavoratrice ed al pagamento di una indennità pari a 12 mensilità.

    I giudici d'appello hanno rilevato che "la soppressione di un posto di Receptionist non è causalmente connessa al licenziamento di una lavoratrice avente la superiore qualifica di Assistente Segretaria di Direzione, che, quindi, avrebbe dovuto svolgere mansioni diverse da quelle soppresse; tanto più che il diritto alla qualifica superiore della reclamante risulta accertato con sentenza della S.C., la cui efficacia di giudicato non può essere elusa dalla reclamata società sulla scorta di ragioni produttive che non sono riferibili alla lavoratrice medesima....

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

    Con il primo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966 e della L.n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, sostenendo che la verifica del nesso di causalità avrebbe dovuto riguardare, in via esclusiva, il rapporto tra posto soppresso nel 2014 e licenziamento intimato nel giugno dello stesso anno e non circostanze di fatto irrilevanti "ai fini della legittimità del recesso", quali il precedente "accertato demansionamento".

    Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1 e art. 41 Cost., poichè il giudizio espresso dalla Corte territoriale si tradurrebbe in un "sindacato sulla congruità e sull'opportunità della scelta datoriale".

    Il terzo mezzo denuncia "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5", criticando la sentenza impugnata "per aver dichiarato l'illegittimità del licenziamento a prescindere da qualsiasi accertamento sull'assolvimento da parte della società dell'obbligo di repechage",

    Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e dell'art. 2058 c.c., "in relazione all'obbligo di repechage quando a fronte della completa chiusura dell'area di attività alla quale era adibito il lavoratore ed anche a fronte dei rifiuto di questi di accettare una posizione con mansioni inferiori, si pretenda di imporre al datore di lavoro il dovere di ricollocare il prestatore in posizioni divenute inesistenti".

    Con l'ultimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, in relazione all'art. 2058 c.c. ed all'art. 3 Cost., lamentando "la valutazione sommaria espressa ai fini dell'applicazione del...

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