1. Che la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso di A.S.K. inteso all'annullamento della delibera di esclusione dalla San Nabore Cooperativa a r.l. Onlus e del contestuale licenziamento intimato dalla Cooperativa in data 3.7.2015;
1.1. che il giudice di appello, premesso che la mancata impugnazione della delibera di esclusione, in quanto fondata sulle identiche ragioni disciplinari a base del licenziamento, non precludeva l'azione intesa ad ottenere la tutela L. n. 300 del 1970, ex art. 18 ha ritenuto la domanda non accoglibile nel merito per risultare accertato dalla espletata istruttoria l'addebito a carico del socio lavoratore, costituito dall'accusa rivolta all'ex presidente della cooperativa, P.G. di essersi indebitamente appropriato della somma di Euro 36.000,00; tale accusa, per la sua specificità e rilevanza, si configurava quale giusta causa di recesso rappresentando grave negazione dei doveri propri del socio lavoratore e primo fra tutti quello di subordinazione dovendo, quindi, ritenersi integrata l'ipotesi di " grave insubordinazione verso i superiori" alla quale l'art. 42, lett. E) del contratto collettivo connetteva la sanzione espulsiva; la gravità dell'accusa profferita non consentiva, infatti, di ricondurre la fattispecie all'ipotesi di comportamento scorretto e offensivo verso gli utenti, i soggetti esterni e i colleghi, che l'art. 42, lett. D) del contratto collettivo sanzionava solo in via conservativa;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.S.K. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380- bis.1. c.p.c..
1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza in relazione all'art. 112 c.p.c.. Premesso che la sentenza di primo grado aveva respinto, senza esame nel merito, la originaria domanda sul rilievo della mancata tempestiva impugnazione della delibera di esclusione e premesso che la sentenza di appello aveva recepito la censura dell'appellante sul punto, assume che il giudice di appello, in dispositivo, avrebbe dovuto dare atto del parziale accoglimento dell'appello con riforma della sentenza di primo grado e, quindi, pronunziare nel merito del ricorso ex art. 414 c.p.c., circostanza questa che avrebbe inciso sul regolamento delle spese di lite determinandone la compensazione per soccombenza reciproca ai sensi dell'art. 92 c.p.c.;
2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., censurando l'accertamento fattuale alla base del decisum sotto il profilo della attendibilità del teste escusso e della correttezza della relativa ricostruzione;
3. che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in combinato disposto con l'art. 2119 c.c.. Osserva che poichè al dipendente erano state contestate una pluralità di condotte concatenate l'integrazione della giusta causa doveva ritenersi sussistente solo ove fosse stata acquisita la prova del complesso degli episodi addebitati e non, come avvenuto nel caso di specie, sulla base di uno solo di essi;
4. che con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza in relazione all'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando la sentenza impugnata in quanto argomentata con motivazione solo apparente ed apodittica tale da non consentire la corretta...
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