1. La Corte d'appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di V.S. intesa all'accertamento dell'illegittimità del contratto di lavoro intermittente stipulato in data 30.6.2011 con Car Service s.r.l. ed alla conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna della società alla reintegrazione nelle mansioni di autista 3 livello, alle connesse differenze stipendiali ed al risarcimento del danno patrimoniale.
1.1. La Corte territoriale, premessa la genuinità del contratto di lavoro intermittente stipulato con riferimento alle esigenze individuate in via sostitutiva della contrattazione collettiva dal Ministero del Lavoro con il D.M. 23 ottobre 2004, n. 459, il quale faceva riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 espressamente richiamata nel contratto individuale, ha osservato con il c.c.n.l. 2011, applicabile alla concreta fattispecie, non conteneva più la previsione impeditiva del ricorso alla tipologia del lavoro a chiamata adottata dalle parti collettive con il contratto vigente nel periodo 2004/2007, giustificata in quella sede dalla " novità degli strumenti" e dalla situazione congiunturale di settore e, quindi, legata ad un presupposto transitorio, con un'efficacia limitata nel tempo. Il giudice di appello ha, inoltre, rimarcato che la interpretazione delle previsioni collettive in senso ostativo alla possibilità di stipulare il contratto in controversia avrebbe finito con il vanificare la sostanziale operatività del ricorso al lavoro intermittente introdotto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 33 e riconosciuto alle parti collettive un potere smentito dalla disciplina di legge stante la contestuale previsione dell'intervento ministeriale in caso di inerzia delle parti sociali nel regolamentare i casi in cui era consentito il ricorso a detta tipologia contrattuale.
2. Per la cassazione della decisione...
1. Con l'unico motivo parte ricorrente deduce erronea interpretazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 34, comma 1. Sostiene che nel dettare la disciplina in tema di contratto intermittente il legislatore aveva attribuito in via esclusiva alle parti collettive il potere di individuare le esigenze e le prestazioni per le quali era consentito il ricorso a tale tipologia contrattuale; l'intervento sussidiario e sostitutivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante l'adozione di apposito decreto ministeriale era contemplato, infatti, nella sola ipotesi di inerzia delle parti collettive e non anche quando queste si fossero comunque attivate esprimendosi in senso ostativo alla utilizzabilità di tale tipologia contrattuale nell'ambito del settore oggetto di regolazione. Nel caso di specie, con il contratto collettivo 2004, immediatamente successivo all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, che tale tipologia contrattuale aveva introdotto, le parti sociali avevano convenuto la non applicabilità dell'istituto e la previsione era stata riprodotta nel c.c.n.l. 2013 mentre solo con il c.c.n.l. 2017 era stato sancito il venir meno del divieto all'utilizzazione del lavoro intermittente. La interpretazione propugnata, che riconosceva, in sintesi, alle parti collettive un potere di veto in merito all'utilizzabilità, nello specifico settore, del contratto intermittente risultava avallata, del resto, dal parere in data 4.10.2016 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il quale aveva confermato la possibilità che le parti sociali, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, potessero legittimamente escludere l'utilizzabilità, nel settore regolato, di tale tipologia contrattuale.
2. Il motivo è infondato.
2.1. E' noto che il D.Lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento...
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