CHE:
La Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Spoleto che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta da R.S. nei confronti della Azienda Servizi Spoleto - A.S.E. Spoleto s.p.a. volta ad ottenere la condanna della resistente a reintegrarlo nelle mansioni di caposquadra ed a risarcirgli il danno derivatogli dal demansionamento denunciato e dal mobbing subito.
Il giudice di secondo grado ha respinto l'eccezione di nullità della sentenza evidenziando che nulla era stato specificatamente allegato quanto alla denunciata omessa lettura del dispositivo e che, al contrario, la sentenza ne conteneva l'attestazione, facente fede fino a querela di falso. Quanto al merito la Corte, al pari del primo giudice, ha ritenuto in primo luogo che il ricorrente non avesse allegato il contenuto delle erano le mansioni svolte prima e dopo la riorganizzazione. Ha accertato poi che il venir meno di compiti di coordinamento non aveva precluso un adeguato sfruttamento del bagaglio professionale del ricorrente. Ha verificato infatti che i compiti di coordinamento non erano preminenti e caratterizzanti rispetto alle altre attività tipiche del profilo di inquadramento; che al venir meno del ruolo di caposquadra non era conseguito uno svuotamento qualitativo delle mansioni attribuitegli tenuto conto, anche, del fatto che mentre nell'assetto precedente vi erano più squadre composte da un solo operaio, per effetto della modifica organizzativa, queste erano state accorpate e, coerentemente, la scelta del caposquadra era stata affidata ad una selezione interna del personale, tenuto conto dell'ampia responsabilità affidata al nuovo ruolo. Infine ha escluso che dall'istruttoria espletata fosse emersa l'esistenza di comportamenti vessatori, prolungati nel tempo, dai quali far derivare la pretesa risarcitoria azionata.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso ...
CHE:
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell'art. 429 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sostiene il ricorrente che per denunciare la nullità della sentenza in relazione alla mancata lettura del dispositivo in udienza non doveva essere allegato altro che il fatto stesso, che peraltro risultava dal fascicolo d'ufficio di primo grado dove, alla data del 24 aprile 2015, quando era stata chiesta la copia conforme non risultava nè il verbale dell'udienza di discussione, nè il dispositivo, nè la sentenza, che era stata inviata via PEC al procuratore del ricorrente il 31 marzo 2015. Inoltre il dispositivo risultava inserito nel fascicolo telematico solo il 3 agosto 2015. Da tali circostanze il ricorrente ritiene che si sarebbe dovuta ritenere confermata la denunciata nullità della sentenza. Sottolinea poi che erroneamente la Corte ha ritenuto che la sentenza di primo grado, la quale attestava l'avvenuta lettura del dispositivo, avrebbe dovuto essere impugnata con querela di falso. Sostiene il ricorrente che è il verbale d'udienza, che ne dà conto, che fa fede delle verità delle affermazioni in esso riportate.
5. Il motivo è inammissibile. Anche a voler trascurare il fatto che con il motivo, formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, pur denunciata una nullità della sentenza, ciò di cui ci si duole è la violazione dell'art. 429 c.p.c., osserva il Collegio che la censura non è sufficientemente specifica poichè non riproduce, come sarebbe stato necessario il contenuto del verbale dell'udienza di decisione della causa in primo grado. La sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., non è atto distinto dal verbale che la contiene (Cass. 08/11/2010 n. 22659), sicchè la produzione del verbale è indispensabile per verificare se vi sia stata la lettura del dispositivo e della contestuale motivazione in udienza, elementi che, unitamente alla...
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