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Estremi:
Cassazione civile, 2019,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    1. Con ricorso L. n. 92 del 2014, ex art. 1, comma 47, al Tribunale di Torino R.G., dipendente della ASL TO5 in qualità di operatore tecnico autista, impugnava il licenziamento per giusta causa comminatogli con Delib. Direttore Generale 25 luglio 2016, n. 370 per avere il predetto, in sede di dichiarazione resa in data 10 luglio 2014, dichiarato che il soggetto disabile per il quale beneficiava dei permessi ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, non fosse ricoverato stabilmente presso alcuna struttura.

    2. Il Tribunale, in esito alla fase sommaria, respingeva la domanda.

    3. La decisione era confermata in sede di opposizione.

    4. Il reclamo proposto dal R. era respinto dalla Corte d'appello di Torino.

    La Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisava che: a) il dipendente con l'indicata dichiarazione - sottoscritta nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 47 e ss. - aveva affermato che la madre, in relazione alla quale usufruiva dei benefici della L. n. 104 del 1992, art. 33 non era "ricoverata a tempo pieno presso alcuna struttura", mentre la ASL, a seguito di controlli, aveva appurato che già da due anni la signora soggiornava presso una residenza sostanzialmente alberghiera; b) in sede disciplinare era stata contestata unicamente la dichiarazione falsa resa alla datrice di lavoro, senza indagare se sussistessero le condizioni per la fruizione dei suddetti benefici, ciò, però, muovendo dalla premessa che tali benefici comportano notevoli oneri economici e organizzativi e trovano la loro giustificazione solo nella effettiva tutela delle persone disabili; c) quanto all'elemento soggettivo, doveva essere evidenziata la diversità dei criteri e dei presupposti dell'accertamento della responsabilità, rispettivamente in sede penale e in sede disciplinare, sicchè, a prescindere dall'avvenuta archiviazione...

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, commi 3, 4 e 7-bis, sostenendosi che la Corte d'appello avrebbe confermato il licenziamento del ricorrente sulla base di un fatto inesistente rappresentato dall'illegittima fruizione dei permessi di cui al richiamato art. 33.

    2. Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis nonchè dell'art. 29, comma 2 c.c.n.l. 1 settembre 1995; b) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., rilevandosi che la questione dell'illegittima fruizione dei permessi citati non avrebbe dovuto essere presa in considerazione dalla Corte d'appello, visto che non era stata contestata e neppure introdotta in giudizio dalla datrice di lavoro, sicchè la sentenza impugnata sarebbe anche affetta dal vizio di ultrapetizione.

    3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, commi 3, 4 e 7-bis, dell'art. 2106 c.c. nonchè degli artt. 28 e 29, comma 1, del c.c.n.l. 1 settembre 1995, perchè la Corte territoriale, violando le norme richiamate e i principi generali della materia, avrebbe confermato il licenziamento sulla base di un comportamento privo di qualunque illiceità, visto che in sede penale il procedimento a carico del R. era stato archiviato in quanto era stata esclusa l'ascrivibilità di una falsa dichiarazione o reticenza essendosi ritenuto che il termine ‘ricoverò nell'ambito del citato art. 33 fosse da riferire soltanto alle strutture di tipo sanitario e non a quelle di tipo alberghiero come quella in cui si trovava la madre dell'interessato.

    In questa situazione, non essendo compresa la condotta contestata neppure tra...

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