1. Il Tribunale di Genova, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 23 del 2015 in merito all'impugnativa di licenziamento disciplinare intimato a C.C. il 3 settembre 2015 dalla Royal Food srl, dichiarava, nella contumacia di quest'ultima, illegittimo il recesso, estinto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condannava la società datoriale al pagamento di un'indennità pari a quattro mensilità oltre al rimborso delle spese di giustizia.
2. La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 512 del 21.12.2016, seppure con diversa motivazione, "conferma(va) il dispositivo della sentenza appellata".
2.1. Per quanto qui rileva, la Corte distrettuale ha osservato come la domanda principale dell'appellante (id est: la lavoratrice), volta ad ottenere la tutela prevista dal D.Lgs 23 del 2015, art. 3, comma 2, (tutela reintegratoria) per il caso di insussistenza del fatto materiale contestato, dovesse essere respinta (non già per le ragioni espresse nella sentenza di primo grado ma) in quanto la condotta addebitata (allontanamento dal posto di lavoro) non era stata negata nella sua realtà storica; la stessa, piuttosto, non poteva ritenersi, in concreto, per le circostanze in cui si era verificata, di gravità tale da giustificare il licenziamento; correttamente, dunque, il Tribunale aveva riconosciuto la tutela risarcitoria prevista dal comma 1 dell'art. 3 cit., determinata esattamente, nella parte dispositiva della sentenza, in misura pari a quattro mensilità della retribuzione.
3. Ha proposto ricorso per cassazione C.C., affidato a due motivi.
4. E' rimasta intimata la datrice di lavoro.
Il ricorso, fissato per l'Adunanza camerale dell'8.1.2019, è stato rinviato all'odierna udienza pubblica, stante il rilievo nomofilattico della decisione.
1. Con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 - è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. nonchè dell'art. 2909 c.c. per non aver la sentenza impugnata considerato l'intervenuto giudicato interno sull'accertamento di illegittimità per insussistenza del fatto materiale contestato alla lavoratrice, attesa la (ritenuta) irrilevanza dello stesso fatto dal punto di vista disciplinare (fatto sussistente ma privo di antigiuridicità), dovendosi equiparare il fatto giuridicamente irrilevante, anche nell'ambito della nuova disciplina, al fatto materialmente insussistente, in continuità con quanto affermato, nella vigenza della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, in relazione alla sovrapponibilità, sul piano sanzionatorio, tra fatto materiale insussistente e fatto giuridicamente irrilevante (con richiamo a Cass. n. 20540 del 2015; Cass. n. 10019 del 2016 ed altre).
2. Con il secondo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3 per avere la gravata sentenza, erroneamente, confermato la decisione di primo grado quanto alle conseguenze sanzionatorie.
La Corte di appello avrebbe (comunque) erroneamente individuato la tutela applicabile: l'accertamento di insussistenza del fatto, in quanto giuridicamente irrilevante, avrebbe dovuto condurre all'applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, ed, in particolare, per effetto dell'esercizio da parte della lavoratrice della facoltà di cui all'ultima parte del medesimo art. 3, comma 2, cit, di quella specificamente stabilita dal D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 2, comma 3.
3. Il primo motivo è da respingere.
3.1. E' infondata la denuncia di violazione del giudicato interno.
3.2. Questa Corte ha reiteratamente affermato che ai fini della selezione delle questioni di fatto o di...
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