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Estremi:
Cassazione civile, 2019,
  • Fatto

    RILEVATO

    CHE:

    Con ricorso al Pretore di Bari, FR.NI. chiedeva accertarsi il suo diritto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente alle modalità di esecuzione (in tesi stressanti) della sua prestazione lavorativa presso il Banco di Napoli.

    Con successivo ricorso il Fr. impugnava il licenziamento intimatogli il 26.8.98 per superamento del periodo di comporto.

    Il Tribunale di Bari, all'esito di prova per testi e di c.t.u., con sentenza 8.6.09, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava San Paolo IMI (succeduta al Banco di Napoli) a pagare l'indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al pagamento dell'indennità sostitutiva. Condannava inoltre la Banca a risarcire il danno biologico quantificato, secondo le tabelle milanesi, in Euro 58.820,00, oltre rivalutazione ed interessi.

    Avverso tale pronuncia proponeva appello la Banca; resistevano gli eredi Fr. ( S. e N.), proponendo appello incidentale quanto al mancato riconoscimento del danno morale.

    Con sentenza depositata il 14.4.16, la Corte d'appello di Bari dichiarava non dovuta l'indennità sostitutiva della reintegra (ritenuta impossibile per totale inabilità lavorativa), condannando la Banca al pagamento delle seguenti somme: a) indennità commisurata alla r.g.f. maturata dal licenziamento sino al novembre 2003 (epoca del pensionamento), oltre accessori; b) Euro 84.039 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale, oltre accessori; c) al pagamento dei 2/3 delle spese del doppio grado.

    Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi Fr., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la Banca con controricorso.

  • Diritto

    CONSIDERATO

    CHE:

    Con il primo motivo gli eredi denunciano la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, L. n. 604 del 1966, commi 1 e 3, artt. 2118 e 2119 c.c.; della L. n. 153 del 1969, lamentando che la Corte di merito avrebbe erroneamente calcolato la misura del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e non avrebbe riconosciuto il diritto del dante causa all'indennità sostitutiva della reintegra.

    In sostanza si dolgono che la sentenza impugnata limitò il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo alla data del novembre 2003 (epoca della maturazione del diritto del dante causa al pensionamento) non estendendola alla data dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra richiesta sin dal ricorso di primo grado.

    Il motivo è teoricamente fondato, posto che la sola maturazione del diritto a pensione ed anche la sola domanda di pensione, non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto (licenziamento, dimissioni o pensionamento) idoneo a risolverlo. Tuttavia la sentenza impugnata mostra di avere accertato che dal novembre 2003 il Fr. (oltre ad essere totalmente inabile) era andato effettivamente in pensione, non essendo così più possibile la reintegra nè il pagamento dell'indennità sostitutiva (cfr. Cass. n. 14426/2000: L'obbligazione del datore di lavoro alla indennità pari a quindici mensilità di retribuzione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore; ne consegue che in tutti i casi in cui l'obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche l'indennità sostitutiva). Nè può ritenersi che la sentenza di reintegra (del 2009) possa aver travolto, nonostante la...

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