che la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva l'impugnativa del licenziamento per giusta causa proposta da F.M. nei confronti di Poste Italiane s.p.a.. La lavoratrice, addetta alle funzioni di portalettere, era stata licenziata per avere il 12/2/2013, in occasione del recapito di un atto giudiziario, attestato falsamente di avere consegnato l'atto al suo destinatario, Fa.Ma., mentre lo aveva consegnato alla moglie di costui M.R., la quale aveva contraffatto la firma del marito. Per tale fatto la F. era stata condannata in sede penale. Il Tribunale, sia nella fase sommaria che nella fase di opposizione, aveva condiviso la prospettazione della lavoratrice, secondo la quale il fatto oggetto dell'addebito, pur consistendo in un inadempimento degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, avrebbe dovuto essere sanzionato con una sanzione conservativa, in base al principio di proporzionalità, in ragione della circostanza che la F. aveva visto il Fa. all'interno dell'abitazione e aveva ritenuto in buona fede la firma di quest'ultimo apposta di suo pugno, ancorchè non avesse assistito alla sottoscrizione (la stessa lavoratrice aveva ammesso di non avere consegnato l'atto al destinatario ma alla moglie e di avere quindi attestato come avvenuta in sua presenza una sottoscrizione alla quale non aveva assistito). La Corte territoriale riteneva, per ammissione della stessa lavoratrice, la realizzazione del falso addebitatole nei suoi elementi oggettivo e soggettivo. Osservava che la condotta costituiva inadempimento di notevole gravità, in quanto attinente a fatti nei quali l'attestazione del vero costituisce la specifica responsabilità dell'agente postale, sulla quale l'ordinamento deve poter confidare. Rilevava che dal fatto derivava pericolo di grave pregiudizio per i terzi coinvolti a vario titolo nel procedimento notificatorio e per Poste Italiane s.p.a.,...
Che con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1455 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5 dell'art. 54, comma 6, lett. c del CCNL 2011 e del Codice etico del gruppo, avendo la Corte territoriale trascurato di valutare la proporzionalità tra sanzione irrogata e fatti quali ricostruiti e ritenuti provati, quali l'assenza di precedenti disciplinari e la presenza di un buon curriculum, l'intensità dell'elemento intenzionale e la buona fede della lavoratrice. Premessa la sindacabilità in cassazione delle specificazioni dei parametri normativi attinenti alle nozioni di giusta causa e proporzionalità del licenziamento, osserva che il giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione all'illecito si sostanzia non solo nella valutazione astratta dell'addebito ma anche nella considerazione di ogni aspetto concreto del fatto, nell'ambito di un apprezzamento unitario della sua gravità rispetto a un'utile prosecuzione del rapporto, tenendo conto del contesto in cui i fatti si erano svolti (aspra conflittualità tra i coniugi, riguardando la notifica un precetto avente come mittente la prima e destinatario il secondo), all'intensità dell'elemento intenzionale e alla mancanza di precedenti sanzioni disciplinari;
che la censura è infondata poichè la Corte d'appello, ai fini della verifica della proporzionalità della sanzione, ha valutato, in conformità ai principi enunciati da questa Corte (si veda per tutte Cass. n. 12798 del 23/05/2018), avuto riguardo alle circostanze del caso e, specificamente, al particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la gravità dell'inadempimento, considerando la sussistenza, per stessa ammissione della lavoratrice, del dolo della falsità in atto pubblico, della gravità dell'inadempimento in relazione ai compiti rimessi alla responsabilità dell'agente postale, la cui affidabilità è garantita...
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