1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 2000 pubblicata il 5.4.16, in sede di reclamo e in totale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato ai signori C.F., M.F. e R.P. nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo, ha condannato la società datoriale alla reintegra dei predetti nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegra, in misura non superiore alle dodici mensilità, oltre accessori di legge, versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, e previa detrazione di quanto eventualmente percepito dai medesimi per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione dal lavoro.
2. La Corte territoriale ha dato atto di come:
- la società, con nota del 30.4.2014, avesse comunicato alle OO.SS. la necessità di ridurre l'organico di sei dipendenti occupati presso l'unità produttiva di Roma, attività Servizi Generali;
- quest'ultima attività era stata oggetto nel 2005 di trasferimento di ramo d'azienda;
- i lavoratori reclamanti, unitamente ad altri non parti in causa, avevano ottenuto il ripristino del rapporto di lavoro presso la società cedente, presso cui doveva ritenersi non soppressa l'unità Servizi Generali;
- i medesimi dipendenti erano stati inseriti in una prima procedura di mobilità iniziata nel 2007;
- a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento nell'ambito di detta procedura, gli stessi erano stati formalmente reintegrati dalla datrice di lavoro, ma esonerati dalla prestazione. 3. La Corte di merito ha ritenuto come la comunicazione di apertura della procedura di mobilità avviata nel 2014 facesse riferimento alle medesime causali della procedura risalente al 2007, già dichiarata giudizialmente...
1. Col primo motivo di ricorso la società ha dedotto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1345 e 1324 c.c., art. 1418 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c..
2. Ha sostenuto come la procedura di mobilità del 2014 fosse stata attuata per ragioni di carattere oggettivo, legate all'andamento negativo dell'azienda e alla soppressione del posto di lavoro degli attuali controricorrenti, reintegrati con sentenza della Corte d'appello n. 7396 del 2013, in ragione della persistente esternalizzazione delle attività dei Servizi Generali a cui gli stessi erano assegnati.
3. Ha rilevato come l'onere di prova della natura ritorsiva del licenziamento gravasse unicamente sui lavoratori e come nel caso di specie non fosse stata neanche fornita la prova della esclusività dell'intento ritorsivo, costituendo dato pacifico la soppressione del posto di lavoro dei controricorrenti.
4. Col secondo motivo la società ha censurato la sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c..
5. Ha rilevato come la Corte d'appello avesse argomentato la natura ritorsiva dei licenziamenti sulla base di due indizi principali: la persistente esistenza in seno alla datrice dell'unità Servizi Generali e il ricorso alla procedura di mobilità nel 2014 sulla base di uno stato di fatto risalente al 2005.
6. Ha sostenuto l'erroneità di entrambi tali elementi indiziari.
7. Riguardo al primo, ha precisato come la sentenza del tribunale di Roma, n. 23407 del 2007, confermata nei gradi successivi, sul presupposto della mancanza dei requisiti di autonomia funzionale del ramo ceduto, unità Servizi Generali, avesse dichiarato illegittimo il trasferimento, ai sensi dell'art. 2112 c.c., degli odierni controricorrenti alle dipendenze della cessionaria Siram. In...
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