che la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 20.4.2016, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto in primo grado da R.F. volto ad impugnare il licenziamento disciplinare in tronco intimato in data 25 marzo 2009 da Acqualatina Spa;
che la Corte territoriale ha ritenuto utilizzabili le relazioni investigative acquisite, "posto che la prestazione lavorativa del R. consisteva nell'attività esterna di ispezione dei cantieri e dunque si svolgeva prevalentemente al di fuori dei locali aziendali" per cui nessun divieto poteva configurarsi "per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro";
che, accertata "la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti", la Corte di Appello ha considerato che "i predetti comportamenti consistiti nell'aver rappresentato alla propria azienda un'attività lavorativa in realtà non svolta determinano la violazione del dovere di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa, nonchè la lesione dell'obbligo di fedeltà e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro";
che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso R.F. con 3 motivi, cui ha resistito Acqualatina Spa con controricorso, illustrato da memoria;
che i motivi di ricorso denunciano: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 4, per avere la Corte distrettuale ritenuto utilizzabili le relazioni investigative, nonostante le stesse fossero finalizzate ad "avere notizie esaustive circa il corretto adempimento delle prestazioni lavorative", peraltro in assenza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte illecite del lavoratore; 2) violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., sostenendo che l'azienda non avrebbe assolto l'onere di provare "tanto il mancato svolgimento dell'attività lavorativa che la falsità dei rapporti di lavoro"; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., artt. 116 e 421 c.p.c., nonchè "omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti", sia "sulla valutazione come prova della relazione investigativa", sia "sulla interpretazione di fatto delle circostanze dedotte";
che il primo motivo, nella parte in cui lamenta la falsa applicazione delle disposizioni statutarie richiamate, è fondato;
che in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un'agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai...
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