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Estremi:
Cassazione civile, 2018,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    1. Con sentenza dell'8.7.2016 la Corte d'appello di Bologna, in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, ha confermato la sentenza del Tribunale di Parma ed ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo il 26.3.2014 dalla società Fiere di Parma s.p.a. a L.E. in considerazione del mancato assolvimento dell'obbligo di repechage, con conseguente applicazione della tutela risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come novellato dalla L. n. 92 del 2012.

    2. La Corte territoriale, ritenuta dimostrata l'esigenza di riorganizzazione aziendale in diretta connessione con i dati di bilancio sensibilmente negativi sin dal 2013 (nella specie, esternalizzazione a studi grafici e stampatori esterni delle attività commerciali collegate alle manifestazioni fieristiche), ha ritenuto insufficientemente assolto l'onere probatorio relativo all'obbligo di repechage in considerazione delle diverse assunzioni effettuate dalla società negli anni 2012-2014 e - respinto il carattere ritorsivo del licenziamento per carenza di elementi probatori nonchè la domanda di risarcimento di danno non patrimoniale per coincidenza dei fatti costitutivi con l'impugnativa del licenziamento - ha applicato la tutela indennitaria condannando la società al pagamento di quindici mensilità della retribuzione globale di fatto tenuto conto delle dimensioni dell'azienda e dell'anzianità di servizio della lavoratrice.

    3. La L. ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria. La società ha depositato controricorso.

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che l'esternalizzazione di funzioni da parte di una società non configura la soppressione di un posto di lavoro, dovendo inoltre, il datore di lavoro dimostrare l'avvenuto risparmio di spesa.

    5. Il motivo è infondato.

    Questa Corte ha già affermato, con ampia argomentazione che il collegio intende in questa sede ribadire, che la ragione inerente all'attività produttiva (L. n. 604 del 1966, art. 3) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali (cfr. Cass. n. 25201 del 2016, Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017). La modifica della struttura organizzativa che legittima l'irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere colta sia nella esternalizzazione a terzi dell'attività a cui è addetto il lavoratore licenziato, sia nella soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze (Cass. n. 21121 del 2004, Cass. n. 13015 del 2017, Cass. n.24882 del 2017) sia nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto sia nel perseguimento della migliore efficienza gestionale o produttiva o dell'incremento della redditività, fermo restando, da una parte, la non sindacabilità dei profili di congruità ed opportunità delle scelte datoriali (come previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1, nonchè, con lo stesso fine, dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, e art. 69, comma 3, e dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 43) ma, dall'altra, il controllo sulla effettività e non pretestuosità della ragione...

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