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Estremi:
Cassazione civile, 2018,
  • Fatto

    RITENUTO IN FATTO

    che con sentenza n. 163/2012, la Corte d'Appello di Brescia ha rigettato il gravame, proposto da A.P., dipendente de Il Sole 24 Ore S.p.a., contro la sentenza con la quale era stata respinta la sua domanda di condanna dell'Inail al pagamento della rendita per inabilità permanente in relazione alla malattia professionale da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario e consistente in un grave disturbo dell'adattamento con ansia e depressione;

    che a fondamento della sentenza la Corte d'Appello, mentre confermava l'esistenza, la natura e le cause della malattia professionale denunciata dalla ricorrente (consistente appunto in un disturbo dell'adattamento e stato depressivo con attacchi di panico), sosteneva tuttavia che la malattia non sarebbe stata indennizzabile dall'Inail perchè non rientrava nell'ambito del rischio assicurato ex art. 3 T.U. 1124 del 1965 che riguardava solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella;

    che, secondo la Corte d'appello, la malattia in discorso era correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal TU e che non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell'assicurazione obbligatoria, che come in qualsiasi contratto di assicurazione, copriva, per evidenti esigenze di corrispettività, soltanto i rischi considerati;

    che non era pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale numero 179/1988, poichè non si trattava di garantire la copertura assicurativa a patologie che non fossero espressamente contemplate nelle tabelle allegate al testo unico, ma che fossero comunque in nesso causale con i fattori di rischio indicate dalla tabelle medesime; ma si trattava invece della domanda di tutela per una...

  • Diritto

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    che il ricorso è fondato, risultando per contro la decisione impugnata non in linea con l'ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimità - cui è riservata dall'ordinamento l'esercizio della funzione di nomofilachia - al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3;

    che, invero, secondo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002" Cass. 5354/2002);

    che lo stesso orientamento è stato riaffermato, a proposito dell'art.3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorchè, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sè e per sè considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente;

    che l'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a...

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