1. La Corte di Appello di Trieste ha accolto parzialmente il gravame proposto da M.G. avverso la sentenza del Tribunale di Tolmezzo che, pronunciando sulle domande formulate con tre distinti ricorsi nei confronti della s.r.l. (OMISSIS), aveva ritenuto fondata solo quella volta ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto, mentre aveva respinto le pretese basate sull'illegittimità ed ingiustificatezza del licenziamento nonchè sul mancato godimento delle ferie annuali.
2. La Corte territoriale, per quel che qui rileva, ha ritenuto che i fatti addebitati con la lettera di contestazione del 22 gennaio 2010, alla quale aveva fatto seguito il licenziamento intimato il successivo 4 febbraio, non integrassero giusta causa di recesso, perchè il contenuto del carteggio intercorso fra le parti doveva essere valutato considerando, da un lato, che il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione della società era ricoperto dalla madre dell'appellante; dall'altro che quest'ultimo, socio di minoranza, aveva redatto le comunicazioni in un clima interpersonale e societario problematico, dopo la revoca della carica di amministratore e quando ancora non era chiaro quali fossero i compiti riservatigli, in ragione del solo ruolo dirigenziale ricoperto nell'azienda. Il giudice di appello ha aggiunto che non era stata provata la asserita indisponibilità a svolgere specifiche attività nel periodo dicembre 2009-gennaio 2010, perchè i testi avevano reso dichiarazioni generiche e le buste paga dimostravano che nel periodo in questione il M. aveva svolto trasferte all'estero ed aveva anche prestato attività nel periodo natalizio.
3. La Corte territoriale ha, invece, escluso la ingiustificatezza del licenziamento ed ha evidenziato che nel rapporto dirigenziale il recesso non è giustificato solo nei casi in cui venga intimato per ragioni arbitrarie, pretestuose, al limite della discriminazione. Ha quindi...
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale la s.r.l. (OMISSIS) denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti collettivi di lavoro, in relazione all'art. 2119 c.c. ed al C.C.N.L. 25 novembre 2009 per i dirigenti di aziende industriali. Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto "riempire di contenuto concreto" la clausola generale e quindi, sulla base di fattori esterni relativi alla coscienza generale nonchè di principi tacitamente richiamati dalla disposizione sopra indicata, indicare quale dovesse essere il parametro valutativo. Nel far ciò il giudice di appello avrebbe dovuto considerare l'intensità del vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro dirigenziale e che deriva dal ruolo ricoperto in seno all'azienda dal dirigente.
1.2. Il secondo motivo del ricorso principale è formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1366,1375,2104,2106 e 2119 c.c., dell'art. 2Cost., dell'art. 1 del C.C.N.L. 25/11/2009 per i dirigenti di aziende industriali. Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe compiuto una errata sussunzione della fattispecie concreta nel parametro normativo della norma elastica, perchè, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di merito, sicuramente integra giusta causa di licenziamento il rifiuto del dirigente di svolgere l'attività connessa al ruolo assegnatogli, accompagnato dalla contestuale richiesta di acquisizione della maggioranza delle quote sociali. La condotta addebitata di "ammutinamento" emergeva con evidenza dal contenuto della documentazione prodotta, sicchè la Corte territoriale non poteva escludere la sussistenza di una giusta causa di recesso, avendo il M. palesemente violato il dovere di diligenza, attraverso un comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede.
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