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Estremi:
Cassazione civile, 2015,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1.- Con sentenza de 6 maggio 2008 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva rigettato la domanda di P.A., azionata nei confronti del datore di lavoro Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi, volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico sofferto per l'eccessivo carico di lavoro ed il cumulo di mansioni, invocando l'art. 2087 c.c..

    In punto di fatto la Corte territoriale ha argomentato che non era risultato provato che la P. fosse stata obbligata al raggiungimento di determinati risultati produttivi, ragionevolmente incompatibili con lo svolgimento di una normale attività lavorativa;

    che la dirigenza del Consorzio non le aveva mai imposto lavoro straordinario oltre i limiti di legge nè aveva mai preteso che fossero raggiunti determinati risultati, nè aveva mai avvertito la dipendente che comunque si sarebbe resa responsabile di eventuali disfunzioni nel servizio assegnato, "così sostanzialmente liberando la P. da ogni responsabilità conseguente all'eccessivo carico di lavoro"; che in definitiva la stessa si era fatta "carico di oneri che spettavano ad altri e di cui altri avevano la responsabilità, ma per sua esclusiva scelta di ordine morale, che vale ad interrompere il nesso di causalità tra fatto causativo e danno".

    2.- Per la cassazione di tale sentenza la soccombente ha proposto ricorso affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso il Consorzio, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

    Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    3.- I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

    con il primo si denuncia violazione dell'art. 2087 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia attinente "a) alla mancata adozione da parte dell'ente datoriale di tutte le misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore e b) alla insussistenza di un obbligo in capo al dipendente di raggiungere determinati risultati produttivi"; con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1218 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia in ordine: "a) assolvimento dell'onere probatorio da parte della dipendente b) alla sussistenza del nesso causale tra danno e sovraccarico di lavoro c) alla mancata considerazione della richiesta di prova e della CTU medico legale".

    4.- I motivi, che per la loro reciproca connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

    Per consolidata giurisprudenza di questa Corte dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. - che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva - non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (ex plurimis: Cass. n. 15082 del 2014; Cass., n. 10510 del 2004).

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