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Estremi:
Cassazione civile, 2015,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con sentenza del 21 febbraio 2014 la Corte d'appello di Napoli, accogliendo il reclamo L. 28 giugno 2012, n. 92, ex art. 1, comma 48, dichiarava l'illegittimità del licenziamento in tronco intimato dalla s.p.a. Magnaghi aeronautica al dipendente T.M. per atti di grave insubordinazione (art. 10, lett. a, c.c.n.l. di categoria), consistiti nell'essersi rivolto ad un diretto superiore, che l'aveva invitato a collaborare per una serenità lavorativa nel reparto, con voce alterata e con parole offensive e volgari.

    La Corte d'appello rilevava che il T. aveva parlato nella convinzione di essere vittima di un'ingiusta delazione e perciò in stato di turbamento psichico transitorio, non aveva rifiutato nemmeno in parte la prestazione lavorativa nè aveva inadempiuto alcun obbligo contrattuale e tanto meno aveva contestato i poteri dei superiori. I suoi precedenti disciplinari, nel corso di un rapporto iniziato nel 1981, erano stati trascurati dalla stessa datrice di lavoro nella lettera di contestazione dell'addebito. Infine la grave insubordinazione, che comportava la sanzione espulsiva, era nel contratto collettivo accostata a gravi reati accertati con sentenza definitiva, quali il furto o il danneggiamento. Ciò considerato, l'illecito disciplinare, certamente sussistente, doveva essere qualificato come insubordinazione lieve, degna di sola sanzione conservativa (art. 9 c.c.n.l.).

    Contro questa sentenza la s.p.a. Magnaghi aeronautica ricorre per cassazione mentre il T. resiste con controricorso. Memoria della ricorrente.

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Col primo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c., artt. 9 e 10 c.c.n.l. per i dipendenti dell'industria metalmeccanica privata 15 ottobre 2009, rinnovato il 5 dicembre 2012.

    Premessa la possibilità di sottoporre al sindacato di cassazione il giudizio applicativo di una clausola generale, quale quella di giusta causa di licenziamento (art. 2119 cit.), essa ritiene dover essere qualificato come insubordinazione grave l'uso di parole ingiuriose e volgari contro un diretto superiore.

    Col secondo motivo la medesima deduce l'omessa motivazione (nel senso di apparente o perplessa o incomprensibile) sui motivi che, a giudizio della Corte d'appello, attenuarono la gravità del comportamento indisciplinato, addebitato al lavoratore.

    Col terzo motivo essa deduce la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101, 112, 183 e 184 bis c.p.c., per avere la Corte d'appello introdotto nel processo questioni nuove, quali lo stato di perturbamento psichico e la presunta assenza di precedenti disciplinari a carico del lavoratore.

    I tre motivi, da esaminare insieme perchè connessi, non sono fondati.

    Non è qui in discussione la possibilità di sottoporre a sindacato di legittimità la sussunzione, da parte dei giudici di merito, di una fattispecie concreta sotto l'astratta previsione legale, quand'anche formulata con una clausola generale (cfr. L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 43).

    Non è però affetto da alcun errore di diritto il giudizio che riconduce all'insubordinazione lieve l'uso, contro il diritto superiore, di parole offensive e volgari da parte di un lavoratore che si ritenga vittima di una maliziosa delazione, senza contestare i potei) dello stesso superiore e senza rifiutare...

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