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Estremi:
Cassazione civile, 2011,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con sentenza del 31/1 - 20/3/08 la Corte d'Appello degli Abruzzi - L'Aquila rigettò l'impugnazione proposta dall'Istituto Stenodattilo Professionale di L.A. avverso la sentenza n. 440 del 25/5/06 del giudice del lavoro del Tribunale di Teramo, con la quale era stato condannato al pagamento dell'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto e al risarcimento dei danni in favore di F.G., in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 5, in conseguenza dell'annullamento del licenziamento intimato il 19/2/02, e condannò l'appellante alle spese del grado.

    La Corte abruzzese addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che si era formato il giudicato sulla statuizione di nullità del licenziamento disciplinare per violazione delle garanzie procedi menta li di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e che l'istruttoria svolta aveva consentito di appurare che le unità operative presso le quali la predetta dipendente aveva lavorato non possedevano le caratteristiche di autonomia strutturale e funzionale, nè quelle di indipendenza tecnica ed amministrativa che la parte datoriale aveva invocato a sostegno della inoperatività della tutela reale.

    Per la cassazione della sentenza propone ricorso il predetto Istituto professionale che affida l'impugnazione ad un unico articolato motivo di censura. Resiste con controricorso la G..

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. Con un unico articolato motivo l'istituto ricorrente denunzia i vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (ex art. 360 c.p.c., n. 5) e di violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

    In concreto, l'istituto ricorrente imputa al giudice d'appello di aver omesso la necessaria valutazione delle caratteristiche del ciclo produttivo aziendale, così pervenendo a ritenere apoditticamente assente ogni forma di autonomia delle singole unità produttive della società, dislocate presso i vari uffici giudiziari, nelle quali era stata impegnata la dipendente, con conseguente riferimento al dato dimensionale dall'intera impresa ai fini dell'affermazione della riconosciuta applicabilità del regime della tutela reale invocato dalla lavoratrice. Quindi, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l'istruttoria svolta avrebbe consentito di appurare la sussistenza di caratteristiche dell'organizzazione lavorativa presso le singole sedi giudiziarie in guisa tale da non lasciare dubbi sulla esistenza di una vera e propria autonomia delle singole unità produttive operanti presso le stesse sedi, al punto che era emerso che tali unità coincidevano strutturalmente con le sedi degli uffici giudiziari ove operavano in limitato numero i dipendenti della società ivi addetti, ragione per la quale era da escludere che potesse ricorrere il requisito dimensionale indispensabile per l'applicabilità della tutela reale invocata dalla controparte.

    A conclusione del motivo la difesa dell'istituto ricorrente ha posto il seguente quesito di diritto: "L'espressione in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo" di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18...

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