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Con sentenza del 30.4.96 il Tribunale di Civitavecchia, decidendo sull'appello di Ceretti Gloria, avverso sentenza del pretore della medesima città, rigettava l'appello e con esso le impugnative dei provvedimenti di allontanamento dal posto di lavoro e di licenziamento per giusta causa proposte dalla lavoratrice nei confronti della BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA E DEL LAZIO soc. cooperativa a r.l..
Osservava in motivazione, in relazione alla impugnativa del provvedimento di allontanamento, che il contratto collettivo prevede all'art.34 la possibilità di provvedere all'allontanamento in ogni fase del procedimento per motivi cautelari come un potere insindacabile del datore di lavoro in funzione esclusivamente della pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore.
Contestava che l'emanazione dello stesso costituisse violazione dei doveri correttezza e buona fede, essendo esso invece ispirato ad una cautela e prudenza non censurabili. Rilevava, inoltre, che al provvedimento, in relazione alla sua natura cautelare e non disciplinare, non possono applicarsi i principi del procedimento disciplinare e, tra essi, quelli della preventiva contestazione ed audizione dell'interessato.
In ordine alla nullità del procedimento disciplinare per omessa affissione del codice rilevava sia che non era necessaria tale affissione per fatti di rilevanza penale, sia che risultava la prova dell'affissione. Quanto alla censura di mancanza di specificità della contestazione, rilevava che il riferimento a fatti oggetto del processo penale a carico della Ceretti, l'essere stata sui medesimi fatti interrogata dal giudice penale, l'avere ammesso la ricorrente, rispondendo alla contestazione disciplinare, di avere letto la denuncia della banca, che aveva dato inizio al processo penale, erano tutti elementi che confermavano che la...
Con il primo motivo, denunziandosi la violazione e falsa applicazione degli artt. 669 septies, 700, 416, 420, 421 c.p.c., 1 e 5 l. 604 del 1966 e 2697 c.c. nonché il vizio della motivazione, la Ceretti, premesso che i provvedimenti che definiscono con un rigetto la richiesta di provvedimento chiudono la fase cautelare, rilevato che nella comparsa per detta fase era stata articolata la prova orale mentre nella successiva comparsa di merito erano state semplicemente richiamate le precedenti difese, ma non articolata nuovamente la prova, assumeva che la convenuta doveva essere ritenuta decaduta da essa. La censura è infondata. La richiesta del provvedimento cautelare è stata fatta nel ricorso introduttivo del giudizio merito, la difesa della banca si costituì per l'udienza fissata per il provvedimento cautelare ed articolò prova. Rigettata l'istanza di provvedimento cautelare, la banca nel costituirsi per il giudizio di merito ha richiamato le difese svolte nella fase cautelare con memoria depositata in diversa fase della stessa controversia e nel medesimo fascicolo. L'autonomia della fase cautelare, così come non comporta che il ricorso per il provvedimento cautelare debba essere fatto con atto separato, non esclude che le difese svolte, comprese le istanze istruttorie, possano esser richiamate nella successiva fase di merito, non comportando alcun aggravio per la controparte l'omessa ripetizione di esse in quanto già note alla controparte e depositate nel fascicolo giudiziale.
Con il secondo motivo di ricorso la Ceretti, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1371, 1374, 1175, 1375, 1418 c.c. in rel. art. 360 n.3 c.p.c. ed il vizio di motivazione, lamenta che l'ambito di applicazione del provvedimento di allontanamento sarebbe limitata alle ipotesi di reati per i quali la denuncia non sia operata dal datore di...
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