ATTENZIONE: stai consultando la versione GRATUITA della Bancadati. Per accedere alla versione completa abbonati subito

Estremi:
Cassazione civile, 2004,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con ricorso depositato in data 2 agosto 1997, la s.p.a. La Rinascente chiedeva al Pretore di Sassari, in funzione di giudice del lavoro, la declaratoria di legittimità del licenziamento intimato a S.M., sua dipendente presso la sede di Sassari, per un furto di quattrocentomila lire da una cassa del supermercato dove la S.M. lavorava.

    Dopo la costituzione del contraddittorio, con sentenza del 24 febbraio 2000 il Tribunale accoglieva la domanda.

    A seguito di gravame della lavoratrice, la Corte d'appello di Cagliari con sentenza del 22 gennaio 2002, in accoglimento del gravame, dichiarava inefficace il licenziamento intimato alla S.M. ed ordinava alla società La Rinascente la sua reintegrazione nel suo posto di lavoro, con la corresponsione delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione effettiva, con rivalutazione monetaria ed interessi; condannava altresì la società al versamento dei contributi assicurativi presso l'INPS nonché alle spese del doppio grado di giudizio.

    Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha osservato che, ai sensi degli artt. 151 e 152 della contrattazione collettiva di categoria e del richiamo da essi operato ai commi quinto, sesto e settimo dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, avendo la S.M. attivato il tentativo di conciliazione, la società era tenuta a nominare, quale datore di lavoro, il proprio membro nel collegio di conciliazione, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro. Ne conseguiva che, non avendo a ciò adempiuto, il licenziamento doveva ritenersi inefficace.

    Avverso tale sentenza la s.p.a. La Rinascente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

    Resiste con controricorso S.M..

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione agli artt. 131, 151 e 152 del contratto collettivo del 3 novembre 1984 e dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300. Sostiene in particolare la ricorrente che il licenziamento per cui è causa non rientra tra quelli per il quale il lavoratore, ai sensi dell'art. 152 del c.c.n.l., possa avvalersi delle procedure di conciliazione di cui all'art. 7 dello statuto dei lavoratori. Invero la suddetta disposizione fa riferimento ai provvedimenti disciplinari, che per l'art. 151 del contratto collettivo comprendono una serie di S.M.nze, ma non invece quegli addebiti che non consentono la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, che sono previste invece dall'art. 131 del contratto, che indica a sua volta tra le cause che attribuiscono al datore di lavoro la facoltà di recedere dal contatto anche "l'appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi".

    Con il secondo motivo la società denunzia ancora omessa insufficiente e contraddittoria motivazione deducendo tra l'altro che la Corte d'appello non ha fornito adeguato supporto logico alle sue conclusioni, omettendo anche di spiegare l'incompatibilità tra la scelta del datore di lavoro di adire l'autorità giudiziaria e la sospensione della sanzione sino alla definizione del giudizio, stabilita dall'ultima parte del 7° comma dell'art. 7 stat. lav.

    I motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perché privi di fondamento.

    Questa Corte ha già statuito che anche dopo l'estensione al licenziamento disciplinare delle garanzie procedimentali previste dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970 - disposta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 1982 - al suddetto...

please wait

Caricamento in corso...

please wait

Caricamento in corso...