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Con sentenza del 5.2.1999, il Pretore di Napoli, in accoglimento delle domande proposte da Nunzia Nerone, Gianna Ballo, Carmela Ferrelli, Tiziana Natale, Sara Girone e Concetta Ferrelli, dichiarava l'inefficacia dei licenziamenti loro intimati il 3.3.1992 da Maria Rosaria Sollazzo, titolare dell'omonima ditta, condannando la datrice di lavoro convenuta al pagamento delle retribuzioni da ciascuna maturate sino alla sentenza.
Il Pretore riconosceva altresì il diritto delle lavoratrici, ancorché non formalmente inquadrate, a differenze retributive, oltre ad accessori, mentre respingeva la domanda riconvenzionale proposta dalla Sollazzo.
Su appello di quest'ultima, la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 15.6.2000, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava l'appellante al pagamento di importi vari per ciascuna delle lavoratrici appellate, più interessi e rivalutazione monetaria, dichiarava l'inefficacia dei licenziamenti impugnati (esclusa l'appellata Concetta Ferrelli la quale non aveva lamentato alcun licenziamento), condannando la datrice di lavoro al pagamento, in favore delle altre lavoratrici, delle retribuzioni rispettivamente maturate dal licenziamento alla data della sentenza di primo grado.
Per quanto rileva in questa sede, il Giudice del gravame osservava:
a) quanto alla decadenza in ordine alla intimazione dei testimoni (ex art. 104 disp. att. c.p.c.), che l'avvenuta intimazione degli stessi testi per la stessa udienza riguardava altra controversia, diversa da quella oggetto dell'appello, sicché doveva respingersi sia la domanda di esame dei testi non escussi in primo grado, sia ogni richiesta di escussione dei testi non ritualmente indicati, nè citati in primo grado su circostanze nemmeno tempestivamente dedotte;
b) quanto ai...
Col primo motivo - deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 250 c.p.c., degli artt. 103 e 104 disp. att. c.p.c., nonché insufficiente motivazione ed omesso esame di punti decisivi - la ricorrente lamenta l'erroneo rifiuto di ammissione dei testi solo perché intimati con riferimento a causa diversa, e nonostante l'indicazione - nella intimazione scritta - del capolista della prima di più cause simili, tutte fissate per la stessa udienza. Sostiene la ricorrente che stante la prassi di assumere contestualmente la prova per tutti i processi, non è necessario notificare distinte intimazioni a testi anche nelle ipotesi (come quella presente) di litisconsorzio facoltativo improprio (trattandosi di più cause suscettibili di riunione, ma ciononostante tenute distinte dal giudice).
Il motivo non può essere accolto.
Va premesso che la sentenza impugnata si riferisce a più controversie instaurate nei confronti della medesima datrice di lavoro convenuta, Maria Rosaria Sollazzo, e mantenute del tutto distinte, in primo grado, anche se - per ragioni pratiche - trattate in udienze tenute negli stessi giorni, davanti al medesimo giudice il quale non ha ritenuto di disporne la riunione. In una situazione del genere, in linea di principio, non viene meno la necessità di procedere ad altrettante intimazioni, secondo le modalità di rito (art. 250 c.p.c.) per ciascuno dei testimoni da escutere, nonostante l'eventualità che uno o più testimoni siano interrogati in relazione a più cause. La necessità di altrettante intimazioni ciascuna delle quali contenente specificamente il luogo, giorno e l'ora fissata per l'escussione, e soprattutto l'indicazione delle circostanze da indagare, nonché delle parti di ciascuna delle cause cui è destinata la deposizione, risponde, infatti, all'esigenza - per un evidente principio di libertà e di piena...
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