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Estremi:
Cassazione civile, 2010,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con sentenza n. 959/2005 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano respingeva il ricorso proposto da D.L.P. nei confronti di Banca Intesa s.p.a., volto alla declaratoria di illegittimita’ del licenziamento intimato il 23-4-2003 con tutte le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

    Il giudice, esclusa la tardivita’ della contestazione degli addebiti, in relazione al tempo della conoscenza dei fatti contestati e ritenuta infondata l’eccezione relativa all’esaurimento del potere disciplinare a seguito della disposta sospensione cautelare, riteneva che il ricorrente - che nella sua qualita’ di responsabile del settore contenzioso aveva l’incarico di deliberare sulla convenienza delle cessioni a terzi di crediti in sofferenza - aveva omesso il necessario controllo nonostante la palese irrisorieta’ dei prezzi di cessione rispetto all’ammontare del credito stesso e al valore delle garanzie a supporto, discostandosi dai criteri di svalutazione indicati dalla stessa banca.

    Il D.L. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

    In primo luogo l’appellante rilevava che la sentenza aveva attribuito rilievo, nella valutazione della tempestivita’ della reazione, unicamente alla conoscenza della infrazione, prescindendo da ogni valutazione sul possesso da parte del datore di lavoro di elementi per l’accertamento dei fatti e sulla sua inerzia, da qualsivoglia ragione determinata.

    Secondo l’appellante appariva chiaro dal tenore dell’art. 36 CCNL che la sospensione cautelare era ammessa solo nel contesto di un procedimento disciplinare formalmente aperto, in mancanza del quale - come nel caso di specie - aveva funzione sanzionatola con conseguente esaurimento del potere disciplinare. Nel...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo, denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e vizio di motivazione, con riferimento all’eccezione di tardivita’ della contestazione respinta dalla Corte d’Appello, il ricorrente in sostanza deduce che "la sentenza impugnata avrebbe dovuto ritenere la tardivita’ della contestazione, poiche’, pacificamente il ritardo non era dipeso ne’ dalla durata degli accertamenti ne’ dalla complessita’ della struttura aziendale".

    In particolare: il ricorrente rileva che "quanto al primo aspetto, si deve osservare che l’attivita’ di audit si e’ esaurita nell’arco di un mese e mezzo, come riporta il relativo verbale della Direzione Auditing di Banca Intesa, e, quanto al secondo, che tra la chiusura dell’indagine e l’inizio del procedimento disciplinare sono trascorsi circa 40 giorni".

    Inoltre, secondo il ricorrente da un lato la ragione addotta dalla Corte d’Appello per escludere il ritardo sarebbe illogica, "perche’, presupponendo che il datore di lavoro possa omettere un assiduo controllo sull’attivita’ del dipendente di elevato grado, confonde una libera scelta dell’imprenditore con una soluzione obbligata e sottrae quest’ultimo alle conseguenze della sua inerzia e delle sue carenze organizzative", dall’altro non sarebbe stato valutato un punto decisivo, "vale a dire l’accertamento nell’estate 2001 di un’infrazione analoga e coeva a quelle poi contestate nel 2003".

    Il motivo in parte e’ inammissibile e in parte e’ infondato.

    Come e’ stato costantemente affermato da questa Corte e come va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c., "il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del ...

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