Con ricorso al Pretore di Roma, Monica Girolami chiedeva l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro da lei intrattenuto con la società di produzione cinematografica Clemi Cinematografica s.r.l. dall'1.2.1991 al 31.1.1995, svolgendo mansioni di addetta all'ufficio stampa, e la dichiarazione di inefficacia del licenziamento comunicatole oralmente il 31.1.1995.
Il Pretore rigettava le domande, ritenendo non dimostrata la non conformità del rapporto alla sua qualificazione nell'ambito del lavoro autonomo, operata dalle parti.
A seguito di appello della Girolami, il Tribunale, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda relativa all'accertamento della natura subordinata del rapporto instaurato il 1.2.1991 e dichiarava l'inefficacia del licenziamento intimato oralmente il 31.1.1995, in violazione dell'art. 2 l. n. 604-1966.
Ritenendo tuttavia che il rapporto di lavoro fosse stato risolto, con effetti ex nunc, mediante la lettera in data 7.3.1995, mai impugnata dalla lavoratrice, con la quale la società aveva ribadito, in forma scritta, la propria volontà risolutiva, condannava la datrice di lavoro al pagamento della retribuzione (nella misura di L. 2.997.000 mensili) solo per il periodo 31 gennaio - 7 marzo 1995. Condannava altresì la Soc. Clemi Cinematografica al pagamento del trattamento di fine rapporto (t.f.r.) nella misura di L. 12.365.191 oltre accessori.
Contro detta sentenza la Girolami propone ricorso per cassazione, basato su un unico articolato motivo.
La Clemi Cinematografica s.r.l. resiste con controricorso e propone due motivi di ricorso incidentale. Ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e poi note d'udienza.
I due ricorsi devono essere riuniti, in quanto aventi ad oggetto la stessa sentenza.
La ricorrente in via principale denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 l. 15 luglio 1966 n. 604, dell'art. 112 c.p.c., degli artt. 1362 e segg., e 1387 e segg. c.c., unitamente ad illogicità, apoditticità e contraddittorietà della motivazione (in riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).
Riportato il testo della lettera in data 7 marzo 1995, con la quale, secondo il Tribunale, la datrice di lavoro aveva intimato per iscritto un efficace licenziamento, non impugnato, la ricorrente lamenta che la sua valorizzazione da parte del Tribunale sia stato il frutto di una grave distorsione degli atti di causa. Infatti la lettera in realtà è stata spedita da un legale in risposta alla impugnazione del licenziamento e si limita ad affermare la legittimità dell'operato della s.r.l. Clemi Cinematografica, integrando quindi un atto difensivo stragiudiziale e non un atto negoziale. Semmai, ribadendo la legittimità (nel lavoro autonomo) di un recesso immediato e immotivato, rappresenta una non consentita convalida del recesso già attuato, come confermato anche dal fatto che non indica alcuna data di licenziamento diversa da quella del licenziamento già comunicato verbalmente.
Inoltre l'atto difetta della sottoscrizione del datore di lavoro o di un suo rappresentante munito di procura scritta o il cui operato sia stato ratificato per iscritto, ed è stato inviato non alla lavoratrice ma all'avvocato cui la stessa si era rivolta, senza eleggere domicilio presso il suo studio.
La ricorrente lamenta ancora il Tribunale abbia d'ufficio "integrato le difese" della Soc. Clemi Cinematografica, che mai aveva eccepito che la lettera del 7 marzo dovesse essere intesa come una nuova manifestazione di recesso,...
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