Con sentenza in data 3 maggio 2000 il Tribunale di Roma respingeva la domanda con la quale A.F. aveva chiesto: a) l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimatogli; b) l'accertamento del suo diritto ad essere inquadrato nel primo livello contrattuale con condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze di retribuzione; c) l'accertamento dell'illegittimità della disposizione del datore di lavoro concernente il godimento forzoso delle ferie e la conseguente condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno pari a 85 giorni di retribuzione; d) l'accertamento del nesso causale fra la malattia da cui era affetto e le vicende del rapporto di lavoro con conseguente condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni.
Avverso tale sentenza proponeva appello il lavoratore allegandone l'erroneità sotto vari profili e chiedendo: a) la declaratoria di nullità ovvero l'annullamento del licenziamento con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e nelle mansioni precedentemente assegnate e con condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione; b) la declaratoria del diritto all'inquadramento nel primo livello retributivo con condanna della società convenuta alle correlate differenze retributive; c) l'accertamento dell'illegittimità della disposizione del datore di lavoro concernente il godimento forzoso delle ferie e la conseguente condanna al risarcimento del danno pari a 85 giorni di retribuzione; d) l'accertamento del nesso causale tra la malattia e le vicende del rapporto di lavoro con conseguente risarcimento del danno biologico e patrimoniale subito e subendo; il tutto con interessi e rivalutazione monetaria.
Costituitosi il contraddittorio, con sentenza depositata in data 7 ottobre 2002 la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata,...
Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi.
Col primo motivo il ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 e degli artt. 420 e 434 cod. proc. civ. nonché vizio di insufficiente e omessa motivazione, deduce l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che nel ricorso di primo grado era stata chiesta esclusivamente la declaratoria d'illegittimità del licenziamento e non era stata formulata alcuna domanda concernente l'ordine di reintegrazione ed il risarcimento del danno.
Sotto un primo profilo, premesso che nel ricorso introduttivo, per un refuso di stampa, era saltata la parte delle conclusioni concernente la reintegrazione nel posto di lavoro, deduce che la domanda era stata immediatamente integrata alla prima udienza con l'autorizzazione implicita del giudice anche se parte convenuta aveva rifiutato il contraddittorio su tale integrazione. L'autorizzazione implicita doveva desumersi dal fatto che il giudice non aveva emesso alcun provvedimento di decadenza o di esclusione dal giudizio di tale petitum ed in sentenza aveva ritenuto la rituale introduzione delle suddette domande. In motivazione non era stata poi necessaria la trattazione di tali domande in quanto superate dal rigetto dell'impugnativa di licenziamento. Deve pertanto ritenersi che la statuizione del primo giudice sull'ammissibilità dell'emendatio libelli, in assenza di specifiche impugnazioni, sia passata in giudicato e pertanto la pronuncia del giudice d'appello deve considerarsi emessa in violazione del giudicato interno.
Sotto altro profilo il ricorrente denuncia un error in procedendo in relazione all'art. 420, primo comma, cod. proc. civ. osservando che nel rito del lavoro l'autorizzazione del giudice alla modifica dell'originaria domanda, ricorrendo gravi motivi, può essere data anche...
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