Il Pretore di Roma, con sentenza del 19 aprile 1994, rigettava la domanda proposta nei confronti delle Ferrovie dello Stato, Società di Trasporti e Servizi per azioni, con ricorso del 28 luglio 1993 dal sign. B.R. dipendente della stessa, con la qual domanda il ricorrente - deducendo di avere richiesto senza esito alla società il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di malattie da cui era affetto nonché l'equo indennizzo e il risarcimento di danno biologico - aveva chiesto in giudizio la condanna della stessa al pagamento in suo favore delle somme di lire 31.101.998 a titolo di equo indennizzo e di lire 86.992.185 a titolo di danno biologico. Lo stesso giudice, dando applicazione all'art. 36 del D.P.R. n. 686 del 1957, riteneva inammissibile la domanda di liquidazione dell'equo indennizzo in quanto il lavoratore era incorso in decadenza per inosservanza del termine semestrale ivi previsto, essendo risultato che egli era a conoscenza da anni, prima della domanda oggetto del giudizio, delle manifestazioni patologiche e del loro presunto aggravamento. Respingeva la domanda riguardante il danno biologico, per non essere stata dedotta la sussistenza di elementi di responsabilità del datore di lavoro nella determinazione del preteso danno, causato dal normale svolgimento della attività lavorativa e delle mansioni proprie della qualifica attribuita.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 giugno 2000, ha rigettato l'appello del B.R. ribadendo la inammissibilità della domanda di equo indennizzo per intervenuta decadenza, con applicazione del citato art. 36 del D.P.R. n. 686 del 1957. Ha inoltre osservato - tra l'altro - che nell'ipotesi, ricorrente nella specie, in cui il deterioramento fisico consegua alle normali e inevitabili modalità di svolgimento della prestazione, si esula dal campo dell'art. 2087 c.c..
Avverso...
1. - Con il primo motivo il ricorrente B.R. denunzia "violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge; art. 68 DPR 10 gennaio 3/57, 686/57, 1622/83; DPR 1092/73", e censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda di equo indennizzo per intervenuta decadenza deducendo che la norma dell'art. 36 del DPR n. 686 del 1957 in quanto contenuta in un regolamento d'esecuzione non poteva contrastare con le norme primarie del DPR n. 3 del 1957, e che pertanto il Tribunale era incorso nella denunziata violazione di legge per avere erroneamente escluso la natura regolamentare dello stesso art. 36 e per non averlo ritenuto, per tale ragione, disapplicabile. Aggiunge che il DPR n. 686/1957 non poteva avere forza e valore di legge in quanto emanato senza il rispetto del termine di un anno previsto dall'art. 1 della legge delega e perché anche carente del requisito costituito dal parere della commissione parlamentare previsto dall'art. 3 della legge delega e neppure contenente nel proprio preambolo il richiamo alla stessa legge delega. Eccepisce inoltre, subordinatamente la violazione di norme della Costituzione per l'illegittimità del termine suddetto previsto dal citato art. 36.
Il motivo va disatteso, con modifica peraltro (ai sensi dell'art. 384 secondo comma c.p.c.) della motivazione in diritto della sentenza impugnata sul punto della normativa applicabile alla fattispecie, stante la conformità a diritto del dispositivo, ed essendo compito del giudice - tenuto a pronunciare "secondo diritto", ex art. 113 c.p.c. - attribuire l'esatta qualificazione giuridica alle azioni od eccezioni svolte dalle parti senza essere vincolato dalla qualificazione formale da esse prospettata, dalla quale è dunque libero di discostarsi nell'esercizio del potere-dovere di autonoma qualificazione secondo il principio "jura novit...
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