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Estremi:
Corte Costituzionale, 1981,
  • Fatto

    Ritenuto in fatto:

    1. - Il pretore di Rimini, nel corso di un procedimento iniziato il 29 giugno 1979, sollevava con ordinanza n. 348/80 del 5 febbraio 1980 eccezione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 73 della legge sull'equo canone n. 392 del 27 luglio 1978, nella parte in cui concede il diritto di recesso immediato dal contratto di locazione all'acquirente di immobili non destinati ad uso abitativo, ove abbia necessità di adibirli ad abitazione o all'esercizio di una delle attività indicate nell'art. 27 della stessa legge n. 392 (commerciali, industriali, artigianali, professionali, alberghiere) per sè, per il coniuge o per parenti entro il secondo grado in linea retta; mentre l'acquirente di immobile destinato ad uso abitativo, in pari stato di necessità, deve attendere almeno un biennio dall'acquisto per esercitare il diritto di recesso (art. 61 legge citata). Assume il giudice a quo che questo trattamento differenziato in tema di recesso del locatore acquirente, a seconda che l'immobile locato sia adibito o meno ad uso abitativo, non ha alcuna giustificazione razionale, specie se confrontato con la precedente legislazione vincolistica che sottoponeva ad identico trattamento le due azioni di recesso per necessità (artt. 7 legge 23 maggio 1950, n. 253, 2 quater legge 12 agosto 1974, n. 351, e 1 quinquies legge 31 luglio 1975, n. 363).

    La sospetta violazione del principio di uguaglianza secondo l'ordinanza di rimessione - discende dal fatto che la vigente disciplina (artt. 61 e 73 legge n. 392 del 1978) mentre nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione tende ad evitare il ricorso callidico a trasferimenti fittizi dell'immobile, preordinati per rendere operanti stati di necessità altrimenti inesistenti, ignora tale esigenza per i contratti relativi ad immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione.

    ...
  • Diritto

    Considerato in diritto:

    1. - La Corte è chiamata a decidere se contrasti o meno con l'art. 3 della Costituzione l'art. 73 della legge n. 392 del 1978 (come modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93), perché concede il recesso immediato dal contratto di locazione all'acquirente di immobili non destinati ad uso abitativo, ove abbia necessità di adibirli ad abitazione propria o all'esercizio di un'attività industriale, commerciale, artigianale, professionale o alberghiera per sè, per il coniuge o per parenti entro il secondo grado in linea retta (art. 27 legge n. 392/1978); mentre l'acquirente di un immobile destinato ad uso abitativo, in pari stato di necessità, deve attendere almeno un biennio dall'acquisto per esercitare il diritto di recesso (art. 61 legge citata).

    Rileva il giudice a quo che questo trattamento differenziato, in ordine al recesso, tra acquirenti di un immobile locato, a seconda che questo sia destinato o meno ad uso di abitazione, non trova alcuna razionale giustificazione. Tanto più è dubbia la costituzionalità della norma impugnata, se sì considera che la precedente legislazione vincolistica sottoponeva ad identico trattamento le due azioni di recesso per necessità. Infatti l'art. 7 della legge 23 maggio 1950, n. 253 stabiliva che la facoltà di far cessare la proroga prevista dal n. 1 dell'art. 4 (quando si fosse dimostrata la urgente ed improrogabile necessità, verificatasi successivamente alla costituzione del rapporto locatizio, di destinare l'immobile stesso, a qualunque uso adibito, ad abitazione propria o dei propri figli o dei propri genitori, ovvero di esercitare nell'immobile la propria normale attività di professionista, artigiano o commerciante) non poteva essere esercitata da chi aveva acquistato l'immobile per atto tra vivi finché non fossero decorsi almeno tre anni dall'acquisto.

    Tale norma si propone -...

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