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Estremi:
Cassazione civile, 2023,
  • Fatto

    RILEVATO CHE

    1.- T.B. era stato dipendente di FCA Italy spa, con inquadramento nel livello professionale III fascia CCSL FCA e mansioni di operaio addetto alla linea del reparto di lastroferratura UTE-4, dal 1988 fino al 30/10/2017, quando era stato licenziato per giusta causa in seguito alla contestazione disciplinare, mossagli in conseguenza sia della denunzia per asseriti maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla sua convivente M.L. in data 19/10/2017, sia della misura cautelare degli arresti domiciliari alla quale era stato sottoposto (poi convertita in data 13/11/2017 nell'obbligo di firma), sia del contenuto dell'originaria ordinanza cautelare del GIP, dalla quale erano emersi plurimi ed abituali atteggiamenti oltraggiosi, prevaricatori e violenti nei confronti della predetta convivente e ancor prima della sua ex moglie, nella maggior parte dei casi dovuti a futili motivi.

    2.- Impugnato il licenziamento perché ritenuto illegittimo, il Tribunale di Cassino, all'esito sia della fase sommaria del c.d. rito Fornero, sia della fase a cognizione piena, rigettava l'impugnazione.

    3.- La Corte d'Appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame del T., dichiarava illegittimo il licenziamento, lo annullava e, ai sensi dell'art. 18, comma 4, L. n. 300 del 1970, ordinava alla società la reintegrazione del reclamante nel posto di lavoro e condannava la prima a pagare al secondo l'indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre contributi previdenziali ed assistenziali.

    A sostegno della sua decisione, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale affermava:

    a) la giusta causa di licenziamento è nozione legale, rispetto alla quale non sono vincolanti - contrariamente a quanto accade per le sanzioni conservative - le previsioni dei contratti collettivi, che al riguardo hanno valenza solo esemplificativa e...

  • Diritto

    CONSIDERATO CHE

    1.- Con il primo motivo, articolato in due censure proposte ai sensi

    dell'art. 360, comma 1, nn. 5) e 3), c.p.c. la ricorrente lamenta "omessa e insufficiente motivazione", nonché "violazione e falsa applicazione" degli artt. 2087,2119 c.c. e 1 L. n. 604 del 1966, per avere la Corte territoriale ritenuto che la condotta extra lavorativa del T. fosse inidonea a ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.

    La prima censura, formulata in termini di "omessa e insufficiente

    motivazione" è inammissibile, attese la diversa formulazione e la stringente limitazione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) a seguito della novella del 2012, con cui il legislatore ha limitato il sindacato sulla motivazione al solo "omesso esame di un fatto decisivo discusso fra le parti".

    La seconda censura è infondata.

    La stessa ricorrente ha rammentato che in varie occasioni questa Corte ha ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento anche in presenza di condotte extralavorative, a condizione però che abbiano un riflesso anche solo potenziale, ma comunque oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, a causa della compromissione dell'aspettativa datoriale circa un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, "in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività" svolta dal dipendente licenziato (v. la giurisprudenza di questa Corte citata nel ricorso per cassazione, p. 9).

    Ebbene, la Corte territoriale si è esattamente conformata a questo principio, dal momento che ha accertato - sul piano del fatto, come tale insindacabile da questa Corte - che le condotte tenute dal T. ai danni della propria convivente non avevano avuto alcuna incidenza, neppure riflessa, sull'ambiente lavorativo e, quindi, sul rapporto di lavoro, in considerazione sia della mancanza di qualunque eco mediatica, sia del carattere meramente...

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