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Estremi:
Cassazione civile, 2022,
  • Fatto

    FATTO

    1. Con sentenza del 18 dicembre 2018, la Corte d'appello di Brescia ha compensato tra le parti le spese di entrambi i gradi giudizio e rigettato l'appello di P.M.C. e B.A. avverso la sentenza di primo grado, così parzialmente riformata, che ne aveva rigettato le domande nei confronti della datrice (OMISSIS) s.r.l., relative differenze retributive, loro spettanti per l'accertamento del diritto al riconoscimento dell'orario straordinario notturno, eccedenti la prescrizione quinquennale e condannato le lavoratrici alla rifusione delle spese di giudizio in favore della società.

    2. Come già il Tribunale, essa ha ritenuto, ai fini della decorrenza della prescrizione durante la sua vigenza, anche dopo la novellazione del L. n. 300 del 1970 art. 18, per effetto della L. n. 92 del 2012 (cd. "riforma Fornero") e del D.Lgs. n. 23 del 2015 (cd. Jobs Act), la permanenza della stabilità reale del rapporto di lavoro: nozione acquisita dal diritto vivente per designarne la regolazione con una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obiettive e predeterminate, affidandone, sul piano processuale, al giudice il sindacato e la possibilità di rimuoverne gli effetti.

    3. La Corte bresciana ha, infatti, negato la ricorrenza di una condizione psicologica di timore (metus) del lavoratore, tale da indurlo a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto paventando, appunto, reazioni del datore di lavoro comportanti la risoluzione del rapporto. E ciò per avere ritenuto il mantenimento di una tutela ripristinatoria piena, in caso di licenziamento intimato "per ritorsione, e dunque discriminatorio" (così testualmente la Corte), ovvero per motivo illecito determinante (che abbia in concreto, al di là delle ragioni apparenti addotte, quale unica ragione le rivendicazioni retributive del...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. Con unico motivo, le ricorrenti deducono violazione degli artt. 2935,2948 c.c., n. 4 L. n. 300 del 1970 art. 18, art. 36 Cost., per avere la Corte territoriale errato, alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenze n. 62 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972) e della giurisprudenza di legittimità, nel ritenere, anche dopo la novellazione del L. n. 300 del 1970 art. 18, con le riforme della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, la vigenza del regime di stabilità del rapporto di lavoro: tale essendo un rapporto che abbia come forma ordinaria di tutela quella reale, in tutte le ipotesi di licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, o comunque illegittimo. Esse stimano pertanto irrilevante, a tal fine, il diritto alla reintegrazione, nelle ipotesi di nullità o di inefficacia del licenziamento, in quanto previste anche nell'area di applicabilità della L. n. 604 del 1966 (di tutela obbligatoria), incontestabilmente riconosciuta come non assistita da un regime di stabilità.

    In via subordinata, le lavoratrici prospettano una questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2935 e 2948, n. 4 c.c., con riferimento all'art. 36 Cost., qualora interpretati nel senso dell'integrazione di un regime di stabilità del rapporto di lavoro, idoneo ad impedire il timore del prestatore alla tutela dei propri diritti, assistito da un dispositivo sanzionatorio che preveda la tutela reintegratoria per la sola ipotesi di licenziamento ritorsivo e, più in generale, così come realizzato dalle modifiche apportate al L. n. 300 del 1970 art. 18, dal L. n. 92 del 2012 art. 1, comma 42 e dagli D.Lgs. n. 23 del 2015 artt. 2,3 e 4.

    2. Esso è fondato.

    3. La questione devoluta, per la prima volta, a questa Corte è scolpita nella formulazione, in via subordinata, del quesito relativo al dubbio di incostituzionalità, in ordine alla permanenza (tuttora) della...

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