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Titolo:

Straining e demansionamento in una recente sentenza del Tribunale di Bergamo (sez. lav., 24 febbraio 2022, n. 49)

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  • Sommario

  • Discriminazione

    Nel dedurre lo straining lavorativo, il ricorrente richiedeva l'applicazione –ai fini probatori e risarcitori- della normativa antidiscriminatoria ricompresa nel d.lgs. 216/2003, riprendendo la tesi dottrinale (EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing e straining, Milano, Giuffrè Lefebvre, 2019) secondo cui le dinamiche persecutorie, avendo quale elemento costitutivo l'obiettivo discriminatorio, sarebbero soggette alla medesima disciplina in considerazione del fatto che il divieto di discriminazione non si applicherebbe solo agli specifici fattori disciplinati dalla legge ma, al contrario, configurerebbe una tutela atipica aperta “ad ogni altra condizione personale e sociale”, come desumibile sia a livello costituzionale (art. 3) sia a livello internazionale (Art. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948; art. 14 CEDU).

    Il giudice orobico, tuttavia, aderisce in motivazione all'orientamento secondo cui le discriminazioni costituiscono un numerus clausus, non ampliabile oltre lo specifico novero dei fattori di discriminazione legislativamente tipizzati (cfr. Corte d'Appello Brescia, 3 luglio 2019, n. 294; CGUE 18 dicembre 2014, C-354/13, FOA; CGUE 18 marzo 2014, C-363/12; contra, per l'apertura anche a fattori “atipici”, Cass., sez. lav., 5 novembre 2012, n. 18927; Tribunale Milano, sez. lav., 22 agosto 2014; Tribunale Civitavecchia, sez. lav., 1° marzo 2018).

    Nozione di mobbing e di straining

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