Il caso
Un lavoratore impugna con due azioni separate lo stesso licenziamento adducendo, in ciascun giudizio, diversi motivi di illegittimità.
In primo grado la domanda viene rigettata in un procedimento ed accolta nell'altro.
In appello i giudizi vengono riuniti ed è rigettata l'eccezione di violazione del “ne bis in idem” formulata dal datore di lavoro; il giudice del gravame evidenzia che, malgrado entrambe le cause abbiano ad oggetto la dedotta illegittimità del licenziamento, la “causa petendi” è diversa (e differenti sarebbero, nel caso, le conseguenze economiche invocate).
Il datore di lavoro censura quindi la decisione nella parte in cui ha ritenuto non preclusa la seconda iniziativa giudiziaria, assumendo tra l'altro l'identità di “petitum”, incentrato sulla contestazione della legittimità del licenziamento.
La Suprema Corte accoglie il ricorso enunciando il principio di diritto sopra riportato.
La questione
La questione in esame è la seguente: il lavoratore può contestare lo stesso licenziamento promuovendo azioni distinte deducendo, in ciascun giudizio, motivi diversi di illegittimità?
Le soluzioni giuridiche
La S.C. ribadisce, in primo luogo, che con l'azione di impugnativa del licenziamento il lavoratore non fa valere un diritto “autodeterminato”, sicché l'azione stessa non è idonea ad estendere l'oggetto del processo all'intero rapporto (cfr., sul punto, Cass. 24 marzo 2017, n. 7687 - ed altre successive conformi - ove è affermato che la “causa petendi” dell'azione proposta dal lavoratore per contestare la validità e l'efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell'atto dedotto nel...
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