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Estremi:
Cassazione civile, 2021,
  • Fatto

    RILEVATO

    che:

    la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva respinto l'opposizione avverso il provvedimento di rigetto della domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento proposta da L.A.M. nei confronti di Poste Italiane s.p.a.;

    i giudici del merito rilevavano che il L., dipendente di Poste Italiane s.p.a., aveva ricevuto comunicazione del 20/9/2017 con cui la società, a seguito di accertamento investigativo, aveva evidenziato che il lavoratore, il quale per le giornate del 24 e 25 agosto 2017 aveva usufruito di giorni di permesso ai sensi della L. n. 104 del 1992, per assistere la madre, si era intrattenuto in attività incompatibili con l'assistenza, essendosi recato prima presso il mercato, poi al supermercato e infine al mare con la famiglia, piuttosto che presso l'abitazione della madre, convivente con il marito; che il cambio di residenza della madre presso l'abitazione del L. non era mai stato comunicato a Poste Italiane s.p.a., se non dopo le contestazioni disciplinari, con conseguente impossibilità per il datore di lavoro di svolgere i controlli; ritenevano, quindi, corretta l'applicazione della sanzione espulsiva prevista dall'art. 54 CCNL in caso di violazioni dolosamente gravi, tali da non consentire la prosecuzione del rapporto e da reputare lecito l'utilizzo di attività investigativa in relazione alla verifica della sussistenza di atti illeciti compiuti dai dipendenti durante la fruizione di un permesso;

    avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore sulla base di cinque motivi, illustrati con memorie;

    Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso;

    la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in Camera di Consiglio non partecipata.

  • Diritto

    CONSIDERATO

    che:

    Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 345 c.p.c., della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59, della L. n. 300 del 1970, artt. 2,3 e 4, quest'ultimo come riformulato dal D.Lgs. n. 151 del 2015, art. 23, e della L. n. 300 del 1970, artt. 5 e 6, rilevando che la sentenza era viziata nella parte in cui la Corte aveva ritenuto che la tesi prospettata in sede di discussione, secondo cui a norma dello Statuto dei lavoratori, art. 3, il datore di lavoro è tenuto a informare il lavoratore di essere oggetto di controllo, rappresentava circostanza nuova mai denunciata nelle precedenti fasi di giudizio;

    osservava in proposito che era sempre consentita la proposizione di mere difese, come quella in esame, volta alla contestazione dei fatti costitutivi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa, così che la sentenza risultava emessa in violazione del principio di carattere generale espresso dalle citate norme dello statuto, in forza delle quali sono vietati controlli lesivi di diritti inviolabili e i lavoratori devono essere informati adeguatamente circa le modalità di esercizio del controllo, con il rispetto della normativa in materia di privacy;

    il motivo di ricorso è inammissibile perchè il ricorrente non censura l'altra ratio decidendi posta a fondamento della decisione, diversa da quella attinente alla novità della questione e conforme alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 15094 del 11/06/2018, Cass. n. 11697 del 17/06/2020), secondo cui la norma invocata dal reclamante riguarda la vigilanza dell'attività lavorativa del dipendente, mentre nel caso in disamina il controllo del lavoratore al di fuori del luogo di lavoro era consentito perchè finalizzato all'utilizzo illecito del permesso ex L. n. 104 del 1992;

    con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2110, 2727,...

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