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Estremi:
Cassazione penale, 2021,
  • Fatto

    RITENUTO IN FATTO

    1. M.G., indagato per il reato di cui all'art. 603-bis c.p., asseritamente commesso dal mese di marzo 2018, per avere impiegato manodopera sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento, attesa la reiterata retribuzione in modo difforme dai contratti collettivi e sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, avverso il provvedimento del Tribunale di Catanzaro, con cui, in parziale accoglimento dell'appello proposto avverso il rigetto, da parte del G.I.P., della richiesta di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, é stato previsto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per una volta al giorno e per tutti i giorni della settimana. In particolare il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 273 c.p.p., con riferimento all'art. 603-bis c.p., per insussistenza di gravità indiziaria circa la condotta di sfruttamento, nonché l'omessa motivazione in ordine agli indici rivelatori della condizione di sfruttamento dei lavoratori, evidenziando che il provvedimento impugnato non ha menzionato alcun elemento investigativo relativo alle effettive condizioni di lavoro, ai metodi di sorveglianza e/o alle situazioni alloggiative degradanti dei lavoratori, eventualmente fornite dal ricorrente, e non si é affatto soffermato sul dato temporale della ripetizione dell'unica condotta contestata (retribuzione in misura difforme ed inferiore ai contratti collettivi), che, al più, può ritenersi limitata alla sola giornata del 18 aprile 2018, essendo del tutto equivoci ed insufficienti gli indizi desumibili dalla conversazione tra terzi ( F. e A.), smentiti dallo stesso M.. Con istanza tempestiva il ricorrente ha chiesto trattarsi il procedimento nelle forme ordinarie.

    2. La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

  • Diritto

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso é infondato.

    2. Occorre premettere che, come evidenziato dal ricorrente, il Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 25 giugno 2020, depositato in data 23 luglio 2020, ha rigettato l'istanza di riesame proposta avverso l'originario provvedimento cautelare. Da tale premessa consegue che l'istanza di sostituzione/revoca del ricorrente e le successive impugnazioni avverso i provvedimenti di rigetto di tale istanza devono confrontarsi con il giudicato cautelare. Difatti, pur mancando un "giudicato" in senso tecnico in materia di provvedimenti di libertà, l'istanza di revoca o di modifica della misura coercitiva non può limitarsi a rimettere in discussione, puramente e semplicemente, gli stessi elementi che hanno già formato oggetto di decisione e che siano rimasti sostanzialmente immutati: essa presuppone, invece, un mutamento, in senso favorevole all'imputato, degli elementi di accusa o il venir meno delle esigenze cautelari, che l'istante ha l'onere di indicare, per evitare, lo svolgersi di procedimenti del tutto inutili e il ripetersi di provvedimenti negativi con motivazione priva di ogni novità é stato impugnato (Sez. 6, n. 85 del 13/01/1994 cc. - dep. 22/03/1994, Rv. 197937 - 01). In definitiva, le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva "endoprocessuale" riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018 cc. - dep. 15/06/2018, Rv. 273648 - 01).

    Lo stesso ricorrente si é attenuto a tali principi nella proposizione dell'istanza di revoca della misura cautelare e dell'appello in ordine al provvedimento di parziale rigetto, avendo fatto riferimento ad elementi di novità, costituiti dal...

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