Il caso
La controversia trae origine da una impugnativa di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, intimato ad una commessa di un negozio di abbigliamento, nella vigenza del divieto generalizzato di licenziamento previsto dai decreti legge nn.18/2020 e 34/2020 nel periodo di emergenza sanitaria per l'epidemia Covid-19 e motivato sulla base di una intervenuta cessazione dell'attività aziendale che, all'esito dell'istruttoria, era risultata in realtà insussistente, per essere il datore di lavoro titolare di altri punti vendita rimasti attivi, con conseguente possibilità di repêchage della lavoratrice licenziata e correlata piena operatività del divieto di legge.
La questione giuridica
Come è noto, l'art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in l. 24 aprile 2020, n. 27 (c.d. decreto “Cura Italia”) ha previsto, per fronteggiare le pesanti ricadute sul tessuto sociale ed economico dell'emergenza pandemica Covid-19, un generalizzato divieto, indipendentemente dal numero di lavoratori impiegati, di intimare licenziamenti collettivi ovvero individuali per giustificato motivo oggettivo.
Tale eccezionale misura, di natura temporanea ed inizialmente scadente il 17 maggio 2020, è stata successivamente prorogata sino al 17 agosto dall'art. 80 del d.l. 19 maggio 2020, n.34, convertito in l. 17 luglio 2020, n. 77 (c.d. “Decreto Rilancio”), ed ulteriormente procrastinata dall'art. 14 deld.l. 14 agosto 2020, n. 104, convertito in l. 13 ottobre 2020, n. 126 (c.d. “Decreto Rilancio 2”), che ha tuttavia previsto una scadenza “mobile”, correlata alla integrale fruizione degli...
Caricamento in corso...
Caricamento in corso...