Il caso
Il caso oggetto di esame riguarda una lavoratrice che aveva intrapreso un giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro chiedendone la condanna al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Le indicate domande erano state accolte dal giudice di prime cure. Nel prosieguo del medesimo giudizio le parti avevano stipulato una transazione in forza della quale il datore di lavoro aveva corrisposto al lavoratore la somma di € 10.000,00 “per puro spirito di liberalità ed al solo fine di evitare un danno all’immagine ….. senza alcuna relazione con quanto dedotto e richiesto dal lavoratore.” Nelle more, l’INPS aveva iniziato la procedura di recupero coattivo dei contributi per il periodo indicato e la relativa cartella esattoriale non era stata opposta. Tuttavia, dopo l’intervenuta transazione tra datore e lavoratore, l’Istituto previdenziale aveva provveduto, in autotutela, ad annullare la cartella esattoriale ed a richiedere alla lavoratrice, ormai pensionata, la restituzione delle somme corrisposte in più sul trattamento di quiescenza. L’assicurata, pur avendo sottoscritto l’indicata transazione, ha proposto giudizio nei confronti dell’INPS chiedendo la condanna dello stesso Istituto all’accredito dei contributi maturati nel periodo oggetto di transazione nella misura effettivamente dovuta nonché alla conseguente ricostituzione della pensione di vecchiaia di cui era titolare ed al pagamento delle somme spettantile a titolo di differenze sui ratei della medesima pensione.
La...
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