Il caso
Ad una lavoratrice viene intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (da ora anche gmo), dichiarato, dai giudici di merito, illegittimo per violazione dell’obbligo di “repechage”; viene quindi applicata la tutela indennitaria “forte” di cui all’art. 18, comma quinto, St. Lav. (ove è disposto che il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione a vari parametri).
La Cassazione conferma la sentenza del giudice di appello, ma con diversa motivazione, ritenendo che la violazione dell’obbligo di “repechage” possa rientrare nella “manifesta insussistenza del fatto” ove vi sia evidenza probatoria della predetta violazione, nel caso, tuttavia, non ravvisata; ed aggiunge che, in caso di accertata “manifesta insussistenza”, non può venire automaticamente in considerazione la tutela reintegratoria, che il giudice “può” applicare (secondo l’espressione adottata dal legislatore) solo ove non sia “eccessivamente onerosa” per l’azienda.
La questione
La questione in esame, non poco articolata, è la seguente: la violazione dell’obbligo di repechage da parte del datore di lavoro può costituire “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo"?
Se sì, a quali condizioni? In caso di accertata violazione, l’applicazione della tutela reintegratoria è doverosa per il giudice o discrezionale?
Le soluzioni...
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