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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    RILEVATO IN FATTO

    che:

    Il Tribunale di Urbino, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla odierna parte intimata, assunta con reiterati contratti a tempo determinato alle dipendenze del MIUR, ha condannato il Ministero al pagamento in favore della lavoratrice delle differenze tra la retribuzione spettante al dipendente a tempo indeterminato e quella effettivamente corrisposta, siccome dipendente a tempo determinato; la Corte d'appello di Ancona ha rigettato l'appello del Ministero;

    la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda della ricorrente fosse fondata alla luce dell'art. 4 dell'Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE (oltre che con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6), il quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni oggettive, che non possono essere ravvisate nella mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all'ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego;

    per la cassazione ha proposto ricorso il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca sulla base di un unico motivo;

    la parte intimata non ha svolto attività difensiva;

    la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in Camera di consiglio non partecipata;

    il Miur ha depositato atto di rinuncia al ricorso;

    il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

  • Diritto

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    che:

    la rinuncia semplice, in presenza di parte non costituita, determina l'estinzione del procedimento;

    la rinunzia al ricorso per cassazione, invero, non ha carattere cosiddetto accettizio, nel senso che non richiede l'accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali (Cass. 23 dicembre 2005, n. 28675; Cass. 15 ottobre 2009, n. 21894; Cass. 5 maggio 2011, n. 9857; Cass. 26 febbraio 2015, n. 3971), ma carattere recettizio, esigendo l'art. 390 c.p.c., che essa sia notificata alle parti costituite o comunicata ai loro avvocati che vi appongono il visto (cfr. Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2259);

    l'accettazione della controparte rileva unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo dell'art. 391 c.p.c., comma 2, che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l'estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese;

    nella specie alla declaratoria di estinzione del processo non segue alcuna statuizione sulle spese, essendo la controparte rimasta intimata; infine, il tenore della pronunzia, che è di estinzione e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità (cfr. Cass. 30 settembre 2015, n. 19560), e la qualità della parte ricorrente, che in quanto Amministrazione dello Stato è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo, atteso il meccanismo della prenotazione a debito (cfr. Cass. 1778/2016), escludono l'applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, prevedente l'obbligo, per il ricorrente non vittorioso, di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione.

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