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T.A.R. Venezia, (Veneto), 2017,
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  • Fatto

    FATTO

    Con ricorso notificato il 25 ottobre 2016 le società indicate in epigrafe, esponendo di essere tutte strutture sanitarie non accreditate e di essere controllate, in vari modi, da strutture sanitarie accreditate, o di aver con esse comunanza (anche solo parziale) di amministratori o di soci in posizione di controllo, hanno impugnato la D.G.R. n. 1314/2016 meglio indicata in epigrafe, con la quale la Giunta regionale del Veneto ha approvato le "Linee generali di indirizzo in materia di attività a pagamento-Area della Dirigenza medica e Veterinaria", firmate anche dalle Organizzazioni sindacali di categoria, nella parte in cui, ai fini dell'applicazione del divieto gravante sul persone medico dipendente di esercitare la libera professione presso strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale ai sensi dell'art. 4, comma 7, L. n. 412/1991, si è disposta l'equiparazione alle strutture sanitarie accreditate delle strutture sanitarie non accreditate controllate da strutture sanitarie accreditate ai sensi dell'art. 2359 c.c., nonché delle strutture sanitarie non accreditate amministrate da persone fisiche che a loro volta amministrano le strutture sanitarie accreditate o che siano soci in posizione di controllo (ex art. 2359 c.c.) di strutture accreditate.

    Con il primo motivo di ricorso viene denunciata la violazione del principio di legalità con riguardo agli articoli 4, comma 7, L. n. 412/1991, 15-quinquies, comma 2, D.Lgs n. 502/1992, 1, comma 5, L. n. 662/1996 e 53 D.Lgs n. 165/2001, nonché carenza di copertura legislativa, incompetenza assoluta della Giunta regionale ed inidoneità dello strumento amministrativo-provvedimentale ad introdurre divieti ed incompatibilità praeter legem, per aver la Regione Veneto indebitamente inciso, senza alcuna base normativa di rango regionale o statale, sul campo...

  • Diritto

    DIRITTO

    Per ragioni di economia processuale si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti, stante l'infondatezza del ricorso.

    Il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, in quanto strettamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati e tutti dichiarati infondati.

    Come noto il rapporto di lavoro dei medici dipendenti del SSN è caratterizzato dal principio della unicità, sancito dall'art. 4, comma 7, L. n. 412/1991: "Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.".

    Il medesimo comma 7 dell'art. 4 cit., nel prevedere la compatibilità, con il rapporto unico di impiego, dell'esercizio dell'attività libero-professionale da parte dei medici dipendenti del SSN, pone il divieto dell'esercizio della suddetta attività con le strutture private convenzionate (ora accreditate) con il Servizio sanitario nazionale.

    La ratio di tale esclusione è evidente, in quanto rivolta ad evitare la nascita del conflitto di interessi tra il SSN e le strutture sanitarie accreditate: "per conflitto di interessi deve qualificarsi la posizione di una società accreditata, la quale ha un evidente interesse a massimizzare il profitto derivante dal rimborso delle prestazioni, risultando la spesa a carico del servizio sanitario nazionale." (TAR Veneto, Sez. III, sent. n. 842/2016), evitando al contempo che il paziente possa essere agevolmente strumentalizzato e dirottato da strutture pubbliche a strutture private.

    Tanto premesso in via generale, il Collegio rileva che, se è vero che la richiamata normativa nazionale (art....

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