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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1.La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 4/7/2011, confermò la decisione del giudice di primo grado, che, investito delle domande proposte da B.P., agente, nei confronti della preponente Sant'Andrea s.p.a., nonchè delle domande riconvenzionali avanzate da quest'ultima, aveva accolto la domanda dell'agente diretta al conseguimento dell'indennità di fine rapporto prevista dalla disciplina dell'AEC, rigettando quella diretta al conseguimento dell'indennità di fine rapporto prevista dall'art. 1751 c.c., nonchè dell'indennità di mancato preavviso e dell'indennità per patto di non concorrenza, ritenendo assorbita la domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione delle somme pagate annualmente per il patto di non concorrenza e accogliendo, altresì, la domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione di provvigioni erroneamente pagate. Osservò la Corte che l'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. non era dovuta, essendosi verificata la decadenza annuale prevista dal quinto comma della norma citata, poichè la lettera inviata dal B. alla convenuta non conteneva alcun riferimento all'indennità di fine rapporto, ma piuttosto a pretese collegate a un rapporto di lavoro subordinato. Quanto all'indennità di mancato preavviso, ritennero i giudici del merito che l'attività dell'agente non poteva essere assimilata a quella dell'agente monomandatario, essendo a tal fine irrilevante che "di fatto" l'attività si fosse esplicata sempre nell'interesse di un unico preponente ed occorrendo la qualità di monomandatario, in concreto mancante (in contratto, anzi, era prevista la facoltà per l'agente di "rappresentare, distribuire o fabbricare prodotti non concorrenti" a condizione che informi per iscritto il fabbricante e senza che ciò pregiudichi il puntuale adempimento degli obblighi assunti con il contratto). In ordine all'indennità per il patto di non concorrenza la Corte d'appello rilevò...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1.Il ricorrente deduce con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 1751 c.c., comma 5, in relazione agli artt. 1 e 4 Cost., art. 24 Cost., comma 1 e art. 41 Cost., comma 2, nonchè in relazione all'art. 117 Cost., comma 1, degli artt. 14 e 47 Carta dir. fond. Unione europea, art. 6 Cedu, art. 12 preleggi e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Rileva che i giudici del merito avevano fondato la decisione sul principio secondo il quale la comunicazione al preponente dell'intenzione di far valere i propri diritti deve presupporre l'esatta qualificazione del titolo che origina i diritti medesimi (nella specie il rapporto di agenzia). Osserva che un'interpretazione costituzionalmente adeguata esclude che la tutela giurisdizionale dei diritti derivanti da prestazioni lavorative possa dipendere dall'esatta qualificazione giuridica del titolo che dà origine a quei diritti e che, pertanto, rimane privo di considerazione il richiamo contenuto nella lettera del lavoratore al trattamento di fine rapporto, costituente l'omologo del trattamento previsto dall'art. 1751 c.c..

    1.2. La censura è infondata. Al fine di tutelare le elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici è necessario, infatti, che l'adempimento atto ad evitare la decadenza si esplichi in relazione a una pretesa determinata, individuata anche mediante l'indicazione del titolo posto a fondamento della tutela invocata, costituente imprescindibile elemento distintivo della pretesa medesima. Al di fuori dell'area individuata mediante la richiesta così determinata deve ritenersi operante l'effetto preclusivo della decadenza, senza che possa utilmente farsi riferimento alla giurisprudenza in tema di effetti dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, ipotesi in cui la volontà di contestare la validità ed efficacia dell'atto impugnato vale a individuare senza possibilità di equivoci l'ambito della tutela che s'intende...

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