Il caso. In un procedimento di divorzio, il Tribunale pronunciava la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, liquidava una somma a titolo di assegno divorzile in favore della moglie, condannava il marito alla restituzione alla moglie di un importo che il primo aveva prelevato dal conto corrente intestato alla seconda, infine condannava il marito al pagamento in favore della coniuge della quota dell'indennità di fine rapporto percepita dal marito. La Corte d'Appello, investita del gravame da entrambi i coniugi, riformava parzialmente la sentenza di primo grado riducendo sia l'assegno divorzile sia la somma che il marito avrebbe dovuto versare a titolo di quota del TFR, confermando invece il capo sulla domanda di restituzione della somma prelevata dal marito sul conto corrente intestato alla coniuge.
Quotidiano del 9 febbraio 2017
La connessione delle cause. Il marito, ricorrente in Cassazione, denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 40, secondo e terzo comma, c.p.c. in ordine alla disciplina di cause connesse. In particolare, il marito lamenta che la Corte di merito ha ritenuto tardiva nonché infondata la di lui eccezione in ordine alla inammissibilità della domanda di restituzione delle somme proposta dalla moglie. Ricorrendo l'ipotesi di connessione tra cause soggette a riti diversi (divorzio soggetto a rito camerale e restituzione somme soggetto a rito ordinario), tale domanda non avrebbe potuto trovare ingresso nel procedimento divorzile.
L'eccezione in senso stretto. Tale doglianza, però, secondo i giudici di legittimità non trova fondamento posto che il marito nel procedimento di primo grado aveva accettato il contraddittorio sulla domanda di restituzione, non avendo sollevato alcuna eccezione riguardo alla ritenuta...
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