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Estremi:
Cassazione civile, 2020,
  • Fatto

    RILEVA

    che POSTE ITALIANE S.p.a. appellava la sentenza del Tribunale di Pordenone n. 31 in data 24 - 25 marzo 2011, che sul ricorso presentato il 31 maggio 2007 dalla sig.ra A.D.V.R., aveva accertato e dichiarato la responsabilità della convenuta società ex art. 2087 c.c. nella causazione dell'infermità psicofisica lamentata dall'attrice, condannando quindi la resistente POSTE ITALIANE a corrispondere alla A. a titolo di risarcimento danni la somma di Euro 86.498, nonchè la stessa convenuta al rimborso delle spese di lite all'uopo complessivamente liquidate in Euro 9000,00;

    la Corte d'Appello di Trieste con sentenza n. 538 in data 4 dicembre 2014, pubblicata il 13 aprile 2015, in accoglimento dell'interposto gravame rigettava la domanda di parte attrice, con conseguente riforma dell'impugnata pronuncia, e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese processuali relative ad entrambi i gradi del giudizio, ponendo gli oneri dell'espletata c.t.u. a carico di entrambe le parti per la giusta metà ciascuna. Condannava di conseguenza la signora A.D.V. a restituire alla società appellante quanto già percepito in forza della gravata sentenza, oltre interessi legali dal giorno dell'intervenuto pagamento al saldo;

    Secondo la Corte d'Appello nella fattispecie operava il principio di diritto, affermato da Cass. lav. n. 2038 del 29/01/2013, secondo cui l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il...

  • Diritto

    CONSIDERATO

    che:

    con l'anzidetto unico articolato motivo la ricorrente ha denunciato violazione o comunque falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè contestualmente omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, ed ancora violazione o comunque falsa applicazione dei canoni di ermeneutica ex art. 1362 c.c., nonchè infine irriducibile contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. In proposito si è sostenuto che la stessa Corte d'Appello non aveva negato che quell'ufficio postale si fosse trovato ad operare nell'arco di tempo in esame in gravose condizioni di carico di lavoro. La Corte distrettuale, pur riconoscendo comunque la gravità della situazione, non ne aveva tuttavia approfondito l'incidenza sul personale, omettendo quindi di valutarne le conseguenze derivatene per la A., anch'esse provate mediante istruttoria testimoniale e perizie mediche. Nemmeno era stata affrontata la responsabilità di POSTE ITALIANE per aver omesso qualsiasi intervento rispetto alle ripetute accorate segnalazioni del personale. Tanto comportava la violazione dell'art. 2087 c.c. in relazione all'art. 2697 c.c. sull'onere della prova. Quanto, poi, all'omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, le acquisizioni istruttorie, ossia le testimonianze rese dai signori P., C., M. e A., offrivano un quadro coerente della drammatica situazione nella succursale di (OMISSIS), che coinvolgeva tutto il personale, non solo la ricorrente, ma che era stato completamente ignorato dalla Corte territoriale. Era innegabile che nella fase di transizione attraversata da POSTE ITALIANE, per lo svolgimento di servizi anche finanziari, tutti gli uffici avevano dovuto affrontare uno stato di emergenza, donde una situazione generalizzata al riguardo. Ad ogni modo, il teste C. precisò che nell'anno 2000 nelle succursali periferiche cominciò a far capo la distribuzione delle...

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