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Estremi:
Cassazione civile, 2019,
  • Fatto

    RILEVATO

    che:

    1. la Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 1299 pubblicata il 17.1.2017, in parziale accoglimento dell'appello di V.P. e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato Trenitalia s.p.a. al risarcimento del danno da demansionamento liquidato in misura pari al 10% per ogni anno dell'ultima retribuzione globale di fatto, a decorrere dal 2009 nei limiti della prescrizione decennale, oltre accessori di legge; ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto della domanda di risarcimento del danno da mobbing;

    2. la Corte territoriale ha ritenuto provato il demansionamento sul rilievo che il V., dopo la dichiarazione di inidoneità a svolgere le mansioni di macchinista, non avesse mai svolto mansioni impiegatizie, proprie del suo livello di inquadramento, come ammesso dalla stessa società datoriale;

    3. ha accertato l'esistenza di un danno non patrimoniale da demansionamento, in via presuntiva sulla base dei seguenti elementi: "la durata del demansionamento protrattosi per ben 13 anni (dal 1997 fino al 2010, anno del deposito del ricorso di primo grado), il tipo di professionalità specifica colpita (macchinista di treni), la conoscibilità all'interno e all'esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, la circostanza che durante la protratta inattività l'appellante non ha partecipato a iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, il tutto con conseguenti e indiscutibili effetti negativi sia dal punto di vista occupazionale che relazionale";

    4. ha confermato la statuizione di primo grado di rigetto della domanda di risarcimento del danno da mobbing mancando "deduzioni ed elementi idonei a supportare la sussistenza della voce di danno di cui si chiede il ristoro";

    5. avverso tale sentenza il V. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito Trenitalia s.p.a. con controricorso e...

  • Diritto

    CONSIDERATO

    che:

    7. col primo motivo di ricorso il V. ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento agli artt. 2697 e 2103 c.c. e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

    8. ha sostenuto come il demansionamento costituisse un illecito permanente e come, di conseguenza, dovesse farsi decorrere la prescrizione dalla cessazione della permanenza;

    9. ha denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, per non aver la Corte d'appello fornito idonea e sufficiente motivazione sulla natura dei danni e sulla loro sussistenza, tenendo conto della intenzionalità, consapevolezza, reiterazione e sistematicità delle condotte finalizzate all'isolamento e all'emarginazione del lavoratore;

    10. col secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata ammissione dei mezzi di prova, articolati anche in appello, ai fini dell'accertamento del mobbing e del risarcimento dei relativi danni, per motivazione omessa e contraddittoria;

    11. con l'unico motivo di ricorso incidentale, Trenitalia s.p.a. ha censurato la sentenza d'appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1226,2103,2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

    12. ha affermato come il ricorso introduttivo di primo grado non contenesse alcuna allegazione in ordine agli specifici pregiudizi derivati dal dedotto demansionamento, su cui fondare il meccanismo di prova presuntiva;

    13. ha criticato la sentenza d'appello per aver desunto il danno da demansionamento senza la precisa individuazione dei fatti idonei e rilevanti a tal fine e per aver omesso di motivare su come i fattori individuati...

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