1. La Corte di Appello di Napoli, nell'ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, con sentenza del 23 gennaio 2018, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento per motivo oggettivo intimato il 19 gennaio 2016 a V.F. da Poste Italiane Spa, condannando la società alla reintegrazione del dipendente ed al pagamento della retribuzione globale di fatto dal recesso nella misura massima di 12 mensilità, oltre contributi e accessori.
2. La Corte ha ritenuto viziato il recesso sia per insussistenza del giustificato motivo indicato dalla società nella comunicazione del dicembre 2015, atteso che "i motivi del licenziamento non sono da ricondursi alla inidoneità del V., bensì al calo dei volumi di corrispondenza", sia perchè la società "non ha neanche provato la impossibilità di ricollocare il lavoratore in altra postazione lavorativa".
La Corte, in punto di tutela applicabile, ha affermato che "l'illegittimità del licenziamento - connessa alla mancata prova sia della residualità e marginalità della prestazione del lavoratore sia dell'inesistenza di altre mansioni cui adibirlo - comporta l'applicazione dell'art. 18, comma 4 nella sua formulazione modificata dalla L. n. 92 del 2012".
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane Spa con 2 motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio a mente dell'art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 2 "per avere la Corte di Appello erroneamente individuato i motivi posti a base del licenziamento, risultanti dalla lettera di licenziamento".
Si sostiene che "del tutto illogica, oltre che distaccata dall'evidenza fattuale, è la conclusione della Corte di Appello, che non ha tenuto conto che la capacità residuale del lavoratore è divenuta inservibile a causa del processo di meccanizzazione dello smistamento".
Si evocano le "affermazioni dei testi" in base alle quali risulterebbe che "il lavoratore, in relazione alla capacità lavorativa residua, aveva svolto, al momento del licenziamento, una prestazione oggettivamente di tipo marginale e non apprezzabile, e quindi, in definitiva, non suscettibile di fruizione da parte del datore di lavoro".
Sempre "la prova per testi" avrebbe dimostrato "che non esistono posizioni lavorative compatibili con le capacità residue del ricorrente".
3. La censura è inammissibile.
Innanzitutto perchè tende ad una rivalutazione della quaestio facti - anche concernente l'interpretazione della lettera di licenziamento che invece "è rimessa, al pari di tutti gli atti di natura privata, all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se congruamente motivato e corretto sotto il profilo logico-giuridico" (tra le altre: Cass. n. 31496 del 2018) - violando, mediante il riferimento alle risultanze probatorie, gli enunciati posti dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. nn. 8053 e 8054 del 2014) quanto all'art. 360 c.p.c., novellato n. 5; in secondo luogo perchè la declaratoria di illegittimità del licenziamento si fonda, secondo i giudici d'appello, sia sulla mancanza del giustificato motivo di recesso indicato dalla società, sia sulla violazione del cd....
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