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Estremi:
Cassazione civile, 2019,
  • Fatto

    OSSERVA IN FATTO

    Con sentenza numero 264 del 9 aprile 7 giugno 2010 il giudice del lavoro di Ascoli Piceno rigettava la domanda dell'attore T.G., il quale con ricorso del 13 maggio 2004 aveva lamentato tra l'altro svuotamento di mansioni con decorrenza dal 1998, a seguito di unificazione del reparto elettrico con quello di manutenzione, per mancata adibizione alle mansioni strumentista, considerata altresì la carenza del mobbing e quindi del danno alla salute.

    L'anzidetta pronuncia veniva appellata dal T., che lamentava l'errata interpretazione delle risultanze istruttorie, sebbene testimoni avessero sostanzialmente confermato le proprie lamentele, in relazione sia alla mancata dotazione dell'apparecchio dosimetro, in occasione degli interventi su apparecchiature radioattive, sia all'assegnazione di mansioni deteriori e dequalificanti (come lo spazzare il pavimento ed eseguire compiti di pulizia, secondo quanto riferito dal teste C.), sia con riferimento alla condizione di sostanziale isolamento in fabbrica in cui egli era stato relegato, tant'è che lo stesso C. era stato diffidato dal superiore dal frequentare il collega T.. Inoltre, l'appellante aveva lamentato il mancato rilievo dell'obbligo gravante a carico di parte datoriale circa il dovere di porre in essere tutte le misure necessarie alla tutela dell'integrità psicofisica del dipendente, sebbene costui avesse dimostrato le sue vicissitudini in ambiente di lavoro, con dequalificazione e violazione dell'art. 2103 c.c., iniziata nel lontano 1986, ed avesse comunque dimostrato la sostanziale inattività, alla quale era stato costretto dalla condotta datoriale.

    La Corte d'Appello di Ancona con sentenza n. 219 in data 7 marzo / 2 luglio 2013 rigettava l'interposto gravame, dichiarando compensate tra le parti le spese di secondo grado, poichè le circostanze di fatto addotte a sostegno sia del lamentato mobbing che del demansionamento...

  • Diritto

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    che

    con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e / o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, poichè il mobbing va inteso come fonte di responsabilità contrattuale, con conseguente obbligo per il datore di lavoro di provare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psicofisica del dipendente, prova che nel caso di specie non era stata fornita, avendo l'impugnata sentenza omesso completamente di tener conto dell'obbligo, a carico di parte datoriale, di dimostrare di aver posto in essere tutti gli accorgimenti necessari a scongiurare il verificarsi di pregiudizio per il dipendente. Nel caso di specie addirittura la Corte distrettuale aveva definito il dosimetro come mero strumento di misurazione, non necessario al T., dimenticando però ogni riferimento alle radiazioni. In corso di causa esso T. aveva dimostrato le sue vicissitudini lavorative, iniziate nel lontano 1986, e l'inattività cui era stato costretto. Aveva, inoltre, allegato idonea certificazione medica attestante il nesso di causalità tra la sua condizione psico-fisica e la sua attività lavorativa in conseguenza delle mortificazioni indotte da parte datoriale, da cui era derivato un rilevante danno biologico. In tale ambito si era insistito per l'ammissione di c.t.u. medico-legale, assumendo il ricorrente di aver dimostrato gli elementi caratterizzanti di norma la condotta del mobbing, quale la durata, la reiterazione, la discrezionalità, la pretestuosità e le conseguenze dannose. Nessuna prova in senso contrario era stata, invece, offerta dalla convenuta società, la quale non aveva infatti provato, nè chiesto di provare che il proprio reiterato comportamento non era costitutivo di molestia morale e che le proprie decisioni erano state giustificate da ragioni obiettive.

    Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato insufficiente e...

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