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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    1. La Unipol assicurazioni Spa proponeva reclamo avverso la sentenza n. 1221/2015 del Tribunale di Milano che, in riforma dell'ordinanza del 30.9.2014, aveva annullato il licenziamento intimato a G.M. con condanna alla reintegrazione dello stesso nel luogo di lavoro ed al risarcimento del danno liquidato come alla sentenza. Il G., dipendente con le mansioni di revisore con il compito di verificare il corretto rispetto da parte delle agenzie visitate delle politiche della compagnia sui prezzi e sulla trasparenza con la clientela, veniva licenziato per giusta causa previa contestazione degli episodi riportati a pag. 2 della sentenza impugnata in questa sede. Il Tribunale annullava come detto il recesso in riforma dell'ordinanza del 30.9.2014; riteneva violative della privacy del lavoratori i controlli investigativi effettuati in quanto invasivi ed insussistenti alcuni degli episodi contestati anche alla luce dell'istruttoria espletata. La Corte di appello di Milano con sentenza del 4.8.2015, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava risolto il rapporto in data 29 aprile 2014 e condannava la società a corrispondere al G. un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

    2. La Corte territoriale riteneva legittimo il controllo investigativo disposto dal datore di lavoro tenuto conto delle mansioni del G. che in gran parte della sua attività lavorativa era in viaggio per l'Italia per cui una ventina di giorni di pedinamento si rivelavano necessari; inoltre si trattava di un controllo diretto ad accertare eventuali illeciti e la raccolta di informazioni sulla vita privata del lavoratore derivava dal mancato inserimento di tre giorni di ferie nel sistema Gerit e della vicenda del mancato rientro nella sede di provenienza dalla trasferta di (OMISSIS). Eventuali altri aspetti di violazione della privacy potevano al più legittimare pretese di...

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    1. Con il primo motivo del ricorso principale si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 3, 4, e 8 e del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11, 24 e 26. I controlli effettuati erano basati su meri sospetti ed erano invasivi, come ritenuto dal Tribunale, in quanto non rispettavano i principi di adeguatezza e/o proporzionalità del mezzo adoperato allo scopo della sorveglianza; inoltre si erano indebitamente estesi alla sfera privata. Il personale dell'Agenzia investigativa poteva agire solo sotto il rispetto delle previsioni di cui alla L. n. 300 del 1970, artt. 3 e 4, applicabili per analogia. I dati raccolti in violazione della privacy e della normativa statutaria erano inutilizzabili.

    2. Il complesso motivo pone, in buona sostanza, tre ordini di questioni e non appare fondato. La prima doglianza concerne l'applicabilità della normativa statutaria alla fattispecie in esame in virtù di una interpretazione estensiva ed analogica delle norme di cui alla L. n. 300 del 1970, artt. 3, 4 ed 8, per la quale non sussistono, però, i presupposti in quanto nel caso in esame si tratta di un'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del "controllo difensivo" da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro (cfr. Cass. 26 Novembre 2014, n. 25162 e molte ancora). Le invocate norme in piena evidenza non possono applicarsi a casi come quello in esame come del resto mai affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che conseguentemente non è richiamata nel ricorso. Parte ricorrente deduce ancora che in realtà non si trattasse di un vero "controllo difensivo" posto che sussistevano solo "voci di corridoio" a carico del G.; anche questa censura appare non accoglibile posto che si tratta di...

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