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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    La Corte di appello di Roma accoglieva la domanda di N.S. dichiarando l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato intercorso con le Poste Italiane, la trasformazione di questo in rapporto a tempo indeterminato con ordine di riassunzione della lavoratrice. La lavoratrice manifestava la disponibilità a riprendere l'attività presso la sede di (OMISSIS) ove lavorava a termine; le Poste deducevano l'"eccedentarietà" della detta sede ai sensi degli Accordi intervenute con le OOSS, la mancanza di posti disponibili nel Comune di Sora e disponeva il trasferimento della lavoratrice presso la sede di (OMISSIS) dal 7.2.2012, ove la lavoratrice non prendeva servizio. Le Poste contestavano il 27.5.2013 l'assenza ingiustificata dal lavoro e con comunicazione del 25.6.2013 disponevano il licenziamento. Il Tribunale di Cassino rigettava la domanda e veniva anche rigettata l'opposizione avverso il primo provvedimento. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 25.5.2015. invece accoglieva l'appello della lavoratrice, dichiarava l'illegittimità del recesso ed ordinava la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro con condanna ad una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità. La Corte territoriale osservava che la riammissione in servizio (rifiutata dalla lavoratrice) era del 19.4.2012 mentre la contestazione disciplinare per assenza dal servizio era del 27.5.213 e quindi dopo oltre un anno dalla mancata presa di servizio e quindi tardivamente tenuto anche conto che il CCNL prevede il recesso per giusta causa oltre i sessanta giorni di assenza dal lavoro consecutivi.

    Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso le Poste tre motivi, corredati da memoria; resiste controparte con controricorso.

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 53 del CCNL per i dipendenti Poste e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. La lavoratrice era stata licenziata non per il rifiuto del trasferimento ma per l'assenza ingiustificata dal luogo di lavoro e quindi ai sensi della lett. l) per assenza arbitraria dal servizio superiore ai 60 gg. Si trattava quindi di un illecito permanente che era ancora in atto al momento della contestazione.

    Il motivo appare infondato in quanto la contestazione è stata formulata dopo oltre un anno (15 mesi) dalla riammissione in servizio, rifiutata dalla lavoratrice. Anche se si dovesse accedere alla tesi di parte ricorrente per cui il fatto contestato non sarebbe il rifiuto del trasferimento ma l'assenza ingiustificata dal lavoro per oltre sessanta giorni, sanzionata dal CCNL con il licenziamento, è stata contestata oltre un anno dopo il suo compimento (decorso del termine di 60 giorni) con un ritardo, quindi, abnorme e totalmente privo di ragioni che è manifestamente estraneo al sistema voluto dall'art. 7 che si incentra sul principio dell'immediatezza della contestazione. Non può, peraltro, accedersi alla tesi di parte ricorrente secondo il quale si tratterebbe di un illecito continuato in quanto la norma contrattuale prevede espressamente la sanzione dopo il sessantesimo giorno di assenza e quindi il fatto oggetto di contestazione si era perfezionato già con una assenza di 60 giorni e quindi il ritardo di 15 mesi del datore di lavoro è totalmente privo di qualsiasi ragione giustificatrice. Accedendo alla tesi qui in discussione si potrebbe ipotizzare che il datore di lavoro possa decidere se irrogare una sanzione in sostanza quando vuole (perchè dopo un anno e non dopo tre anni?) in spregio al meta-principio della certezza e trasparenza nelle relazioni contrattuali che vige anche in...

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