1.- Con ordinanza dell'8 febbraio 2016 (r.o. n. 67 del 2016), la Corte di assise d'appello di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
1.1.- La Corte rimettente ha premesso di essere investita del processo penale a carico di C.T., fondato su una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché di missive spedite e ricevute in carcere dall'imputato, dalle quali il giudice di primo grado ha inferito l'esistenza di un progetto criminoso volto a consolidare il potere della famiglia dello stesso imputato sul territorio di Siderno e a consumare una serie di specifici fatti delittuosi.
La Corte di assise d'appello ha precisato che la corrispondenza non è stata sequestrata ai sensi dell'art. 254 cod. proc. pen., ma solo copiata dalla polizia giudiziaria, previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, senza quindi che i destinatari potessero conoscere l'attività investigativa compiuta.
La Corte rimettente ha riferito che, in un primo tempo, la Corte di cassazione (sentenza 18 ottobre 2007 - 23 gennaio 2008, n. 3579) ha ritenuto utilizzabili i risultati di tali indagini, in base alla considerazione che il provvedimento autorizzatorio del giudice sia in questi casi parificabile a quello, di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., in materia di intercettazioni telefoniche.
Successivamente, tuttavia, la questione relativa all'intercettabilità della corrispondenza è stata rimessa alle...
1.- Con ordinanza dell'8 febbraio 2016 la Corte di assise d'appello di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
L'art. 266 cod. proc. pen. prevede, nei procedimenti relativi ai reati da esso elencati, la possibilità di sottoporre a intercettazione le conversazioni, le comunicazioni telefoniche e le altre forme di telecomunicazione, mentre gli impugnati artt. 18 - nel testo anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 95 del 2004 - e 18-ter della legge n. 354 del 1975 prevedono, come unica forma di controllo della corrispondenza epistolare del detenuto, quella tramite apposizione di un visto. Il rimettente ritiene che le citate disposizioni siano illegittime nella parte in cui non consentono di intercettare il contenuto della corrispondenza postale, impedendo così di captare il contenuto delle missive senza che il mittente e il destinatario ne vengano a conoscenza, come avviene invece per le altre forme di comunicazione.
1.1.- In particolare, il giudice a quo ha premesso di essere investito del giudizio sulla responsabilità dell'imputato C.T., limitatamente a delitti di omicidio volontario e in materia di armi, a seguito di sentenza di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione.
Ha quindi precisato che, per valutare adeguatamente la responsabilità dell'imputato nel giudizio di rinvio, è necessario l'integrale esame del contenuto della corrispondenza postale da questi inviata e ricevuta in...
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