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Estremi:
Cassazione civile, 2016,
  • Fatto

    FATTO

    Con sentenza 17 novembre 2014, la Corte d'appello di Lecce rigettava l'appello proposto da Unicredit s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato l'8 novembre 2011 al proprio dipendente L.U.L.M..

    A motivo della decisione, la Corte territoriale condivideva l'ininfluenza, già ritenuta dal primo giudice, della condanna riportata dal predetto alla pena, applicata su richiesta, di tre anni di reclusione e di Euro 12.000,00 di multa per detenzione e spaccio di rilevante quantità di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, ai fini della contestata (con raccomandata del 3 ottobre 2011) rottura irreversibile del rapporto fiduciario: non essendo risultato alcun collegamento concreto tra detta attività e quella lavorativa di addetto allo sportello, in ordine al suo (in)esatto adempimento.

    Sicchè, essa riteneva l'insindacabilità del comportamento rigorosamente extralavorativo del dipendente, privo di alcun riferimento con l'organizzazione bancaria, nè con le sue procedure amministrative e contabili, così da escludere un pregiudizio morale per la società datrice.

    Con atto notificato il 15 (20) maggio 2015, Unicredit s.p.a. ricorre per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., cui resiste il lavoratore con controricorso.

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo, complesso e articolato, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 e 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 1, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l'erronea esclusione dell'integrazione della giusta causa di licenziamento dal comportamento extralavorativo tenuto dal proprio dipendente, di gravità tale da eccedere gli standards conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale, in quanto contrario alle norme dell'etica e del vivere civile comuni, pertanto ripugnante alla coscienza sociale.

    Ed infatti, esso è consistito nella detenzione e nello spaccio di rilevante quantità di sostanze stupefacenti del tipo marijuana (gr. 1.340,81 suddivisi in due buste di plastica e da cui ricavabili n. 3.212 dosi medie: rinvenuti, al momento dell'arresto, con una bilancia da cucina recante ancora residui di marijuana e con un importo di Euro 23.100,00 in contanti), per cui L. è stato condannato alla pena, applicata su richiesta, di tre anni di reclusione e di Euro 12.000,00 di multa. Sicchè il fatto, accompagnato da grande clamore mediatico, è certamente idoneo, anche alla luce dei numerosi precedenti di legittimità richiamati, alla rottura irrimediabile del vincolo fiduciario tra le parti così da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, pure in riferimento alla rilevanza pubblica dell'attività creditizia, che esige la massima affidabilità di tutti i dipendenti (ed in particolare di coloro, come appunto L. in quanto addetto all'attività di sportello, a diretto contatto con la clientela).

    Con il secondo, la ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale in particolare il collegamento del licenziamento alla...

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